Lost in Translation – L’amore tradotto: recensione del film di Sofia Coppola
Un sentimento profondo e indecifrabile, vissuto sullo sfondo dei piccoli grandi rimpianti della vita quotidiana, è la tematica di questo gioiello per la regia di Sofia Coppola
Poche volte nella storia del cinema una traduzione o un sottotitolo italiano sono stati così inappropriati: se il primo esempio che vi viene in mente in tal senso è Se mi lasci ti cancello (obrobriosa traduzione di Eternal Sunshine of the Spotless Mind), di peggio è stato fatto forse solo con lo splendido Lost in Translation, per la regia di Sofia Coppola, corredato di un sottotitolo che inverte completamente il significato della pellicola: L’amore tradotto.
Sì perché il titolo originale di questo autentico gioiello del cinema, vincitore di un Oscar per la miglior sceneggiatura, rappresenta lo scrigno perfetto del senso di un film tanto delicato quanto intenso, giocato tutto sul filo del rasoio di emozioni indecifrabili e inconfessabili, a causa del bagaglio di cambiamento che porterebbero con sé una volta rivelate a se stessi.
Bill Murray (Bob) e Scarlett Johansson (Charlotte) sono gli interpreti di un’opera sussurrata, in cui a colpire con forza sono solo i colori e le luci sfavillanti della Tokyo confusionaria e vitale dove è ambientata. Il resto è tutto raccontato in sottrazione, tra le righe degli sguardi e dei piccoli gesti dei protagonisti, improvvisamente invischiati in un vortice semantico in cui a non essere comprensibile non è solo la lingua parlata da chiunque li circondi (e sembra non tenere conto del fatto che siano americani) ma soprattutto l’emozione condivisa che pian piano si fa spazio dentro di loro.
Lost in Translation – L’amore tradotto: il magico e indecifrabile incontro fra due solitudini alla ricerca di risposte
Lost in Translation è la storia di un incontro, quello tra Bob, celebre attore di mezza età, rassegnato a sostituire le sue performance negli action movie con spot pubblicitari in giro per il mondo, e Charlotte, una giovane sognatrice neo laureata in filosofia e da due anni sposata con un fotografo che la porta con sé durante le sue trasferte lasciandola la maggior parte del tempo da sola. I due si ritrovano ospiti dello stesso hotel a Tokyo e cominciano una spontanea conversazione in cui – con la tranquillità che essere due estranei infonde loro – si scambiamo pensieri e preoccupazioni, consigliandosi l’un l’altro quale sia la strada migliore da intraprendere per essere felici. Ma in realtà, come il resto degli umani, nessuno dei due detiene tale segreto, limitandosi ad attingere reciprocamente dall’altro lo slancio necessario per affrontare una vita che forse non è esattamente come l’avevano immaginata.
Bob, dall’alto dei suoi anni, ha però un quadro più completo della situazione, e il suo sguardo serenamente rassegnato sembra suggerire il suo essere al corrente dell’inevitabile epilogo che l’inizio di una storia con Charlotte avrebbe; la ragazza, invece, vive ancora credendo che tutto sia possibile, guardando con arroganza chi non considera alla sua altezza e lasciandosi travolgere da un’intesa estemporanea e forse insensata ma inequivocabilmente autentica. A scandire il ritmo di questo sentimento che cresce, il conto alla rovescia che li separa dalla partenza e dal ritorno alle reciproche vite, unico legame con la realtà in grado di trattenerli dal dare libero sfogo all’inevitabile, con tutte le conseguenze del caso.
Sofia Coppola segue in punta di piedi i protagonisti di Lost in Translation nel loro relazionarsi incarnando il movimento metaforico di una fisarmonica, le cui estremità si allontanano prima di avvicinarsi troppo, lasciando fino all’ultimo il dubbio che fra Bob e Charlotte ci sia amore, nonostante i sottili momenti catartici del film (emblematica e bellissima la scena del karaoke) non lascino spazio a molti equivoci.
E, mentre i dubbi si appianano ma manca il coraggio, la regia ci mostra un assaggio di quello che sarebbe stato o forse solo una finestra sulle infinite possibilità che la vita offre, quando non è chiara quale sia la strada che si vuole intraprendere. Il tutto corredato da una colonna sonora sognante e da una fotografia che indugia sulle sfumature della notte, guarda caso il momento della giornata riservato ai sogni.
Con una scena finale degna degli annali della storia del cinema, Lost in Translation lascia lo spettatore con quella sottile inquietudine che solo le grandi opere sanno trasmettere, rassicurato però dalla sensazione di non essere completamente in balìa del proprio destino, sintetizzata nel film dalle stesse parole di Bob/ Bill Murray:
Più conosci te stesso e sai quello che vuoi, meno ti lasci travolgere dagli eventi.
Lost in Translation è la storia di due solitudini che si incontrano, in cui l’altro fa da specchio alle proprie sicurezze ed insoddisfazioni: una delle possibili premesse alla nascita di un amore, ma non necessariamente quella più giusta.