Love Actually: recensione
Con gli script di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones, tra gli altri, Richard Curtis è diventato un marchio di fabbrica che ha generato più di 1 miliardo di dollari in tutto il mondo specializzandosi in spumeggianti commedie romantiche di lusso.
Al passo con l’affidabile e affascinante Hugh Grant, sempre leader dei sui film e probabile “musa”, Curtis approfondisce con intelligenza il populismo escludendo dai suoi lavori tutto ciò che è provato o vero, ma non rischiando di essere ruffiano nei confronti del pubblico. Concentriamoci dunque sul suo debutto registico: Love Actually comprime spudoratamente otto o nove storyline romantiche e colpisce, infallibile, come un inno doppio dedicato all’Amour e a Natale.
Come ogni buon venditore, Curtis comincia identificando il suo target di riferimento (non è difficile azzeccarlo), che in questo caso è formato fondamentalmente da tutti coloro i quali simpatizzano di più per il passeggero medio di una qualsiasi compagnia aerea piuttosto che per i passeggeri vip di una prestigiosa business class . Dopo aver dichiarato ancora una volta che è l’amore che fa girare il mondo, Curtis si propone di dimostrare la sua tesi in un mélange alla Robert Altman con storie interconnesse, alcune più convincenti di altre.
Vincente come sempre, Grant appare nel film come il primo ministro britannico appena insediatosi, scapolo incallito con un tocco di Bill Clinton nella gestione degli affari interni (Andiamo ad aggiustare il paese, che ne dite?), ma non così preso dalla Gran Bretagna da non poter affrontare i flirt nel suo ufficio. Escludendo un divertente e tenero incontro tra controfigure porno (Martin Freeman, il Watson di Sherlock e il Bilbo Baggins de Lo Hobbit) su un set cinematografico, gli altri abbinamenti sono gravati da complicanze, maggiori e minori. Un autore inglese (Colin Firth) si innamora di una cameriera portoghese (Lúcia Moniz) che parla una lingua diversa, un’impiegata (Laura Linney) trova finalmente il coraggio di chiedere ad un collega (Rodrigo Santoro) un appuntamento dopo due anni di timidezza, una sposa (Keira Knightley) scopre che il miglior amico nonché testimone del marito (Andrew Lincoln) prova dei sentimenti per lei, e un padre da poco vedovo (Liam Neeson) aiuta suo figlio (Thomas Sangster) a conquistare la ragazza popolare della scuola. Alan Rickman e Emma Thompson aggiungono una certa drammaticità (tanto necessaria) alla comedy dimostrando che c’è rimedio anche ad un lungo matrimonio senza sesso. Infine Bill Nighy risulta delizioso come un vecchio rocker che cerca di rilanciarsi sul mercato musicale con una hit natalizia.
Quando tutte queste disparate sottotrame si srotolano insieme, l’amore nevica sulla realtà in una valanga di buoni sentimenti, astutamente calcolata per travolgere anche il più cinico spettatore. Il grande merito di Curtis è non permettere a questo gioco romantico di chiudersi lasciando in sospeso le vite dei suoi personaggi (è difficile tirare le fila di così tante storie). Il film può sembrare all’apparenza sdolcinato ma almeno ammette che l’amore è complicato e, a volte, insostenibile. Ma questa è una sorta di dubbio trionfo, Love Actually fornisce in realtà abbastanza happy endings per far dimenticare al pubblico che l’accoppiata romanticismo e Natale non fa miracoli e non sempre funziona.