FESCAAAL: Loveling – recensione del film brasiliano

Il film Loveling, del regista brasiliano Gustavo Pizzi è stato presentato in concorso al Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina. Ecco la nostra recensione.

Il Festival del Cinema Africano Asia e America Latina presenta nel primo giorno di concorso uno dei film più attesi per la categoria lungometraggi – finestre sul mondo, Loveling diretto dal regista brasiliano Gustavo Pizzi.

Loveling è la prova di come la semplicità può emozionare e creare una storia completa, complessa e soprattutto allegoria di uno stato d’animo. Si può anzi dire che Loveling più che un film sia in realtà uno stato d’animo: una malinconia celata dietro un’inquieta serenità.

Loveling: l’allegoria di uno stato d’animo in concorso al Festival del Cinema Africano Asia e America Latina

Il film è caratterizzato dalla semplicità di una trama che pone sulla scena una famiglia brasiliana composta da madre, padre e cinque figli, in aggiunta anche una zia che si rifugia da loro per fuggire da un marito violento. Questa famiglia vive in una casa che sta crollando a pezzi per tantissimi guasti che si accumulano e sembrano non esaurirsi mai, così come anche il desiderio di trasferirsi nella casa nuova, rimasta incompiuta per la mancanza di soldi.

Questi elementi sono tenuti insieme dalla guida della famiglia, la madre Irene, che con la sua emotività e la sua fragilità naturalmente umana, riesce a dare quella serena inquietudine che si percepisce sin dall’inizio del film. Il figlio maggiore è un campione di pallamano e viene ingaggiato in Germania per continuare gli studi e giocare lì il campionato. Una partenza che riempie il cuore di gioia di sua madre, per la possibilità di vederlo, così giovane, verso la realizzazione di un sogno, verso la scoperta di altre realtà, ma che ovviamente la spaventa, per la perdita e il distacco.

Un terrore che si vede nei primi piani dei suoi occhi, nei suoi sguardi verso tutta la famiglia, nei gesti in cui affronta la quotidianità. Quel terrore tipico materno che giace sotto la gioia e la tiene controllata. Perché una madre non può mai davvero rilassarsi, così come anche si vede nel film e nei piccoli accadimenti quotidiani che travolgono la casa, la famiglia, le finanze e le situazioni da risolvere.

Loveling è semplicità assoluta, per la sua trama, per quello che vuole raccontare, ma entra nel profondo dei nostri stati d’animo. Proprio perché ci troviamo di fronte a nulla di costruito o di diverso da quello che ci avvolge ogni giorno. La malinconia, il senso dell’incompiuto, l’inquietudine verso ciò che viene dopo.

La fotografia di Loveling rispetta questi elementi e si pone sui protagonisti in modo diretto quando sono soli in scena: primi piani, sguardi, gesti, assenza di luce. Poi, sa allargarsi con grande respiro, per immagini dolci e delicate, come quella che passa nei titoli di coda: un gommone che galleggia su acque verde acqua, portando con sé una madre e suo figlio.

Loveling  cinematographe.it

Un’immagine emozionante che è riassunto dell’intera narrazione e della sua fotografia. Un lungometraggio che con questi accorgimenti dimostra quanto forte può essere un’opera artistica quando è costruita attorno a personaggi sinceri e solidi oltre che un messaggio di fondo da voler trasmettere molto chiaro.

E per questi motivi Loveling è molto forte. Un pezzo di tutte le nostre vite, sul grande schermo, che prendono forma tramite gli occhi di una madre, collante di un insieme complesso di sistemi affettivi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.1