Luce: recensione del film di Silvia Luzi e Luca Bellino

La recensione dell’opera seconda di Silvia Luzi e Luca Bellino con un’intensa Marianna Fontana e la voce di Tommaso Ragno. Nelle sale dal 23 gennaio 2025.

Ogni anno Barz and Hippo, società indipendente meneghina, sceglie un progetto audiovisivo, ne sposa la causa, per poi accompagnarlo in giro per le sale della Penisola. Dopo Il popolo delle donne di Yuri Ancarani, ha deciso di puntare, distribuendolo a partire dal 23 gennaio 2025, su Luce, secondo lungometraggio di finzione del pluridecorato e collaudatissimo duo formato da Silvia Luzi e Luca Bellino. La pellicola, reduce da un fortunato percorso nel circuito festivaliero iniziato con la première nel concorso internazionale del 77esima edizione del Locarno Film Festival, ci porta in un paesino montuoso dell’Irpinia, laddove una giovane donna conduce un’esistenza riservata. Le fanno compagnia un gatto e alcuni parenti, ma il grosso delle sue giornate si snoda attraverso il lavoro ripetitivo in una fabbrica per la concia delle pelli. Un giorno, vedendo in aria il drone utilizzato per le riprese durante una festa di comunione, le viene un’idea che possa metterla in contatto telefonico con una presenza inaccessibile (affidata unicamente alla voce di Tommaso Ragno). È l’inizio di un rapporto sempre più assiduo, su cui entrambe le parti proiettano ciò che desiderano.

In Luce i registi hanno saputo mescolare senza soluzione di continuità verità e ricostruzione di essa, senza che l’una prendesse mai il sopravvento sull’altra

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Ed è su questo gioco di ruoli, basato su una sottile linea che separa l’immaginazione dalla realtà, che prende forma e sostanza un film intimista che segue la ribellione silenziosa della protagonista all’ambiente che la circonda. Come ne Il cratere e nei lavori documentaristici precedenti (tra cui  La minaccia e Dell’Arte della Guerra), anche in Luce i registi hanno saputo mescolare senza soluzione di continuità verità e ricostruzione di essa, senza che l’una prendesse mai il sopravvento sull’altra. Lo hanno fatto con la loro capacità del dire senza dire e dell’ellittico, l’assenza totale di didascalismo e il simbiotico interscambio, spesso invisibile ad occhio nudo ma costante, tra reale, artificio e simbolico, che lascia spazio al fruitore di partecipare attivamente alla costruzione del significato. Il tutto è parte integrante di un discorso autoriale e di un’idea di cinema che la coppia di registi ha prima impostato, metabolizzato e poi consolidato nel corso di produzioni che si sono distinte proprio per un approccio personale, non convenzionale e di conseguenza unico e riconoscibile alla materia e alle tematiche che di volta in volta hanno deciso di affrontare e tradurre per immagini, storie e suoni sullo schermo. Argomentazioni, le loro, che si ripetono ciclicamente ma plasmandosi alla vicenda di turno, a cominciare da temi chiave come quelli della famiglia e del lavoro. In Luce rappresentano il baricentro su e intorno al quale ruotano e si sviluppano narrazione e drammaturgia. Eccoli allora alimentare un racconto fatto di stratificazioni e di più livelli di lettura in cui Luzi e Bellino tornano con il proprio modus operandi (una sceneggiatura riscritta giorno per giorno, luoghi veri, persone reali, riprese in sequenza, una recitazione che non è più finzione ma messa in scena di se stessi) a parlare del rapporto con il potere, che sia padre o padrone, quel potere che quando è famiglia ti schiaccia e quando è lavoro ti aliena. Il medium è stato il tumulto di una giovane donna in un contesto che la vuole operaia, ignorante, sottoposta, e che la induce a una scelta malsana alla ricerca di un’assenza e di una voce che diventano vita parallela.           

Marianna Fontana regala al film e al pubblico un’interpretazione intensa e toccante

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La centralità data al personaggio, pedinata nel quotidiano e negli stati d’animo cangianti da una cinepresa che si fa per questo radiografia dell’anima, richiedeva un’attrice capace di farsene carico e di restituire sullo schermo il ventaglio di emozioni cangianti e di sentimenti contrastanti che covano in lei e che deflagrano in un finale che lascia il segno. Gli autori l’hanno trovata in Marianna Fontana, che recentemente aveva toccata le corde del cuore dello spettatore con un’altra performance dal forte livello empatico interpretando, con la medesima intensità ,una trentatreenne che dopo avere scontato quindici anni in carcere per l’omicidio della sorella gemella cerca di ricostruirsi un’esistenza in La seconda vita di Vito Palmieri. Anche in quel caso la Fontana metteva le sue indubbie qualità al servizio di un personaggio complesso, sfaccettato, viscerale, istintivo e camaleontico caratterialmente, che necessitava di un lavoro tanto interiore, che esplorasse il soffocato “magma” incandescente destinato a implodere che albergava in esso, quanto esteriore che andava manifestandosi attraverso una comunicazione non solo verbale. I potentissimi primi piani catturati dalla macchina da presa di Luzi e Bellino, con il contributo tecnico e compositivo del direttore della fotografia Jacopo Maria Caramella, rendono il tutto materialmente possibile e tangibile nella sua messa in quadro, con i silenzi e la grandissima espressività dell’attrice campana che si fanno specchio della dimensione intima del personaggio e da cassa di risonanza rispetto a ciò che vuole fare emerge nell’arco narrativo di un percorso di ulteriore crescita e liberazione.

Luce: valutazione e conclusione

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Con l’opera seconda dal titolo Luce, i registi Silvia Luzi e Luca Bellino tornano ai temi a loro cari della famiglia e del lavoro per raccontare i tumulti di una giovane donna in cerca di libertà, rinascita, riscatto e legami affettivi negati. Lo fanno con un film che si muove efficacemente sulla linea sottile che separa il vero e il falso, ciò che si dice da ciò che si vede, che per modus operandi, approccio e sensibilità autoriale riesce ad emozionare e comunicare un’infinità di cose a uno spettatore che è chiamato a partecipare attivamente alla ricerca del significato. L’interpretazione intensa e comunicativa di Marianna Fontana, alle prese con un personaggio complesso e caratterialmente stratificato, rappresenta il valore aggiunto di un film toccante, la cui visione lascia un segno tangibile del suo passaggio nella mente, nella retina e nel cuore del fruitore.   

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.9