L’Uomo dal Cuore di Ferro: recensione del film
La recensione de L'Uomo dal Cuore di Ferro, il film diretto da Cédric Jimenez, con Jason Clarke e Rosamund Pike, al cinema dal 24 gennaio 2019 con Videa.
27 settembre 1941, Praga, il Generale delle SS Reinhard Heydrich, nominato Protettore dei distretti di Boemia e Moravia, viene attaccato da un commando formato da alcuni paracadutisti cechi, addestrati dalla RAF inglese. Ma chi erano quegli uomini? Quali erano le loro motivazioni? E perché Heydrich era reputato tanto importante come bersaglio?
A queste domande cerca di dare una risposta L’Uomo dal Cuore di Ferro, film diretto da Cèdric Jimenez, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto nel 2010 da Laurent Binet, basato su uno degli episodi più misteriosi e importanti della Seconda Guerra Mondiale.
L’Uomo dal Cuore di Ferro, tra naturalismo e melodramma
Basato su una sceneggiatura non originale concepita da Audrey Diwan, David Farr e dallo stesso Cédric Jimenez, L’Uomo dal Cuore di Ferro (soprannome che Hitler diede ad Heydrich) ci guida con passo freddo dentro la vita del feroce gerarca nazista (interpretato da un inquietante Jason Clarke), il suo congedo con disonore dalla Marina della neonata Repubblica Tedesca per aver “approfittato” della virtù di una ragazza dell’alta società – una macchia che non riesce a digerire – la sua sete di potere e riscatto, la sua psicologia di uomo arrogante e fragile ad un tempo.
Alto, robusto, grande sportivo, trova rifugio tra le braccia della brillante e determinata Lina Von Osten (una Rosamund Pike in grande forma), figlia di un aristocratico ex Generale prussiano che, oltre a sposarlo, lo fa diventare adepto e sostenitore del neonato Partito Nazionalsocialista.
In breve tempo Heydrich comincia a vedere nel Nazismo il punto di svolta della sua vita, tanto da chiedere di incontrare Heinrich Himmler (Stephan Graham), il capo delle SS (le squadre di sicurezza di Hitler), che ne farà il suo braccio destro.
Da quel momento Heydrich diverrà il capo del Servizio Informazioni e Sicurezza delle SS, secondo molti l’uomo più pericoloso del Terzo Reich, pianificatore della Notte dei Lunghi Coltelli, del concepimento dei piani per la Soluzione Finale e tanto altro ancora.
Nominato Governatore dei territori un tempo chiamati Cecoslovacchia, si distingue per ferocia e sadismo nel tentare di schiacciare la resistenza locale e perseguitare gli ebrei, tanto da spingere i Servizi Segreti inglesi a voler metter fine al suo terrore.
I giovani patrioti cechi Jan Kubis (Jack O’Connell) e Jozef Gabcik (Jack Reynor), sono paracadutati fuori Praga e, in collaborazione con la Resistenza locale, preparano un piano per eliminarlo. Ma riusciranno a portarlo a termine prima che le SS li trovino? E quali potrebbero essere le conseguenze?
L’Uomo dal Cuore di Ferro: un’occasione sprecata
L’Uomo dal Cuore di Ferro, diretto con mano fin troppo scolastica da Jimenez, risente di una fotografia poco efficace di Laurent Tangy, che vanifica il bel montaggio di Chris Dickens, ma soprattutto soffre una forte indecisione a livello di sceneggiatura, in bilico tra naturalismo e quello melodramma.
Per di più la messa in scena in alcuni momenti denuncia una totale mancanza di quel realismo, che altrove è invece inseguito con determinazione sterile, tuttavia è soprattutto nella mancanza di approfondimento dei personaggi che L’Uomo dal Cuore di Ferro compie un errore molto grave.
Jimenez infatti spreca in modo assolutamente deprecabile un grande cast (che dà finché può un’ottima performance), lasciando ogni dinamica tra i vari personaggi assolutamente superficiale.
Nulla viene detto del complesso e ambiguo rapporto tra Himmler e Heydrich (ridotto qui a semplice amicizia tra “colleghi” di Partito), sul suo cursus honorum o sulla sua chiacchierata origine ebraica. Nessuno spazio poi a quanto egli, data l’alta statura e l’amore per lo sport, fosse dipinto come il modello ideale del “super-uomo ariano”. Era più di un gerarca. Era il simbolo vivente del prototipo del nazista perfetto.
Ciò che sorprende poi, a livello narrativo, è l’aver messo completamente da parte il personaggio della Pike in modo inspiegabile, rovinando una perfetta simbiosi recitativa con Clarke, in nome di un percorso narrativo romanzato con al centro i due patrioti cechi e alcune bellezze “locali” (tra le quali una Mia Wasikowska sostanzialmente abbandonata in un angolo).
Il ritmo è molto irregolare, eventi assolutamente importanti e basilari sono liquidati in pochi istanti e la povertà delle location (che non valorizza la bellezza di Praga e dei paesaggi circostanti) fa assomigliare il tutto ad una sorta di versione upgrade di certe fiction Rai.
L’Uomo dal Cuore di Ferro rincorre troppo un melodramma che mal si sposa ad eventi così drammatici e importanti, lascia da parte un realismo che avrebbe avuto ben altra presa sullo spettatore, e la scelta di creare una linea temporale non canonica più che rendere il racconto intrigante lo rende confuso.
In ultima analisi, L’Uomo dal Cuore di Ferro non inquieta, non rapisce, non colpisce, non impressiona, non fa affezionare (o odiare) nessuno dei personaggi presenti e, a conti fatti, risulta improponibile il confronto con il bellissimo Conspiracy del 2001 di Loring Mandel, monumento cinematografico alla folle ideologia e macchina dello sterminio delle SS della burocrazia nazista, dove Kenneth Branagh ci aveva donato lui si, la quintessenza di questo gerarca arrogante, manipolatore, pericoloso e vacuo.
Un’occasione sprecata. Peccato.