L’uomo invisibile (2020): recensione del film con Elisabeth Moss
Un horror fatto bene, certo aiutato e non poco dall'ottimo cast!
L’uomo invisibile (The Invisible Man) è uno dei classici della Universal Monster Legacy e sarebbe dovuto essere il secondo titolo di quel grande progetto che portava il nome suggestivo di Dark Universe, partito malamente con The Mummy, che avrebbe dovuto racchiudere e far interagire tutti i più leggendari personaggi della storia dell’horror.
L’uomo invisibile sarebbe dovuto essere Johnny Depp
Poi tutto è andato a rotoli e questo Horror Cinematic Universe probabilmente non lo vedremo mai. Per fortuna, il prezzemolino Jason Blum è entrato a gamba tesa dicendo che aveva un’idea per salvare, intanto, qualcosa. E a tempo di record ha messo in mano a Leigh Whannell, il creatore della saga di Saw insieme a James Wan, il progetto dell’uomo invisibile. E il regista e sceneggiatore, reduce oltretutto dall’ottimo Upgrade, a tempo di record ha portato a termine l’impresa. Secondo lo stile Blumhouse.
L’uomo invisibile (2020): la trama su cui si basa il film
Cecilia (Elisabeth Moss) fugge nottetempo dalla lussuosa villa sulla scogliera del suo compagno. Adrian Griffin è un genio tecnologico riconosciuto nel mondo, ma è anche un manipolatore che infligge violenze, psicologiche e fisiche, alle persone che gli sono vicine. Un paio di settimane dopo la fuga, Cecilia, ancora sconvolta da ciò che ha passato, viene a sapere che Adrian si è suicidato. L’incubo sembra essersi finalmente concluso. Ma in realtà, è appena iniziato.
Elisabeth Moss, l’ancella e l’uomo invisibile
Ciò che ha reso Blumhouse rapidamente una produzione vincente è la sua abilità nel trattare argomenti contemporanei e d’attualità all’interno di un genere perfettamente codificato come l’horror. Lo ha fatto con il suo più grande successo di critica e pubblico, Get Out, ma in realtà quasi tutto il suo cinema ha le stesse caratteristiche, talvolta spinte a un autolesionista parossismo. Leggi Black Christmas.
Anche qui si parla di violenza sulle donne, ma lo si fa bene, al contrario dell’appena citato remake di un gioiello degli anni ’70, e lo si fa con una metafora perfetta. Perché, soprattutto quando si parla di violenza coniugale o familiare, nella maggior parte dei casi si combatte un nemico invisibile, subdolo e che all’esterno viene preso sottogamba. Si sa, i panni sporchi vanno lavati in casa. Purtroppo, questo proverbio tanto popolare quanto ipocrita, ha portato più a lavatrici di sangue che altro.
Lo ha capito perfettamente Whannell, con l’aiuto della paladina dei diritti delle donne Elisabeth Moss, l’attrice che meglio di chiunque altra ha fatto sua questa missione, da Mad Men a Top of the Lake, fino naturalmente a The Handmaid’s Tale. La sua Cecilia passa magistralmente attraverso tutte le fasi che, quasi sempre, caratterizzano il percorso di una donna abusata e non creduta. L’uomo aguzzino è invisibile solo per canoni di genere, lo è alla società prima di tutto. Ricco, con una ineccepibile reputazione, filantropo e geniale: impossibile possa avere comportamenti di quel genere, con la donna che ama oltretutto.
Già, intanto contiamo le donne uccise ogni giorno nel mondo, dall’ipocrisia oltre che da un uomo criminale. The Invisible Man, per quanto paradossale possa sembrare, mette tutto questo alla luce del sole, e lo fa con dolorosa precisione. L’orrore vero, come spesso accade, non lo si trova al cinema, ma nella realtà.
L’uomo invisibile: il genere horror fatto come si deve
D’altronde, l’horror a questo è sempre servito, a denunciare quello che nella società non funziona. È così da sempre, lo fece Mary Shelley con Frankenstein, così come Bram Stoker per Dracula. E H.G. Wells con The Invisible Man. Non a caso, tutti parenti nel fantastico mondo della paura Universal. Alla luce di quanto fatto vedere da Blumhouse, sarebbe il caso di mettere tutto in mano loro. L’idea di avere un luogo cinematografico che unisce cinema di genere e di denuncia già di per sé è stuzzicante, e con declinazioni praticamente infinite.
Intanto godiamoci questo primo esperimento, molto efficace, anche grazie all’ottimo cast. Elisabeth Moss è come sempre magnifica, e offre al pubblico tutto il repertorio che abbiamo già imparato a conoscere, dalla nevrosi alla crudeltà, passando addirittura per momenti action tutt’altro che disprezzabili. L’invisibile Oliver Jackson-Cohen si vede poco, ma quando si svela capisci perché è stato scelto per il ruolo. E poi, segnalazione squisitamente per il pubblico femminile, godetevi ogni scena di Alvis Hodge, già visto nel bellissimo Straight Outta Compton. Non è una segnalazione sessista, è francamente oggettiva.
L’uomo invisibile sarà disponibile prossimamente in streaming.