Lupi mannari: recensione del film Netflix
La recensione dell’adattamento che François Uzan ha realizzato dal celebre gioco da tavola di Philippe des Pallières e Hervé Marly. Dal 23 ottobre 2024 su Netflix.
In assenza di storie originali, non c’è fonte da cui l’audiovisivo non sia andato ad attingere pur di creare vicende e contenuti da consegnare al cinema o alla televisione. Tra queste figurano pure gli analogici e creativi giochi da tavolo. Dalla celeberrima battaglia navale è nato ad esempio Battleship, oppure un classico come Cluedo si è trasformato nell’ancora più classico Signori, il delitto è servito. Se poi decidessimo di allargare il campo di ricerca anche ai giochi di ruolo allora bisognerebbe chiamare in causa pure Dungeons & Dragons e le sue diverse trasposizioni. Ultimo in ordine di tempo ad approdare sugli schermi è stato Lupi mannari. Creato nel 2001 da Philippe des Pallières e Hervé Marly, ispirato a sua volta per modus operandi e regole a Mafia, il boardgame in questione è ora diventato il film diretto da François Uzan, disponibile su Netflix dal 23 ottobre 2024.
La storia narrata nella trasposizione di Lupi mannari ne mantiene i tratti salienti e le regole d’ingaggio, rendendo i membri di una famiglia allargata le pedine del gioco e i personaggi di una commedia fantasy
Non è la prima volta che un gioco edito da Asmodee trova una sua declinazione sul piccolo schermo. Prima della pellicola dello sceneggiatore e regista francese infatti Exploding Kittens aveva fornito materia prima all’omonima serie animata. Nel caso di Lupi mannari il materiale di partenza si prestava per caratteristiche, plot e personaggi a un adattamento di un film fantasy, tanto che gli autori dello script non hanno dovuto barcamenarsi nel materiale di partenza per dargli una forma e una sostanza audiovisiva. Cosa che non si può dire invece della trasposizione di Battleship di Peter Berg, laddove le forzature non mancano e si sono dovuti scomodare addirittura alieni invasori che nulla hanno a che fare con il popolare gioco. Per l’opera seconda di Uzan dopo il barcollante On sourit pour la photo si è potuti, al netto di tutte le procedure necessarie e messe in atto per cambiare destinazione e fruibilità (da quella attiva di un player si è tramutata in quella passiva di uno spettatore), restare più o meno fedeli alla matrice, senza essere costretti a cambiarle i connotati. Per chi non lo conoscesse il boardgame è ambientato in un piccolo villaggio chiamato Roccascura dove alcuni degli abitanti sono segretamente lupi mannari, mentre gli altri sono semplici umani. L’obiettivo principale del gioco dipende dal ruolo che si interpreta: gli umani devono smascherare ed eliminare i lupi mannari, mentre i lupi mannari devono cercare di eliminare tutti gli abitanti del villaggio senza essere scoperti. La storia narrata nella trasposizione ne mantiene i tratti salienti e le regole d’ingaggio, rendendo i membri di una famiglia allargata le pedine di una partita come accaduto ai protagonisti di Jumanji, con la differenza che quelli di Lupi mannari vengono risucchiati nel gioco e spediti indietro nel tempo, per l’esattezza nel Medioevo.
Esaurite le idee e l’effetto sorpresa Lupi mannari si trascina per inerzia tra gag e dinamiche ludiche che ruotano e si sviluppano quasi esclusivamente sulle diversità tra l’epoca attuale e quella medioevale
Affinità e attinenze a parte, questa trasposizione è l’esempio perfetto di come uno spunto di partenza potenzialmente buono e un cast dignitosissimo vadano sprecati. Alla corte del cineasta parigino c’è infatti un trittico di star come Jean Reno, Franck Dubosc e Suzanne Clément, che dal canto loro fanno quello che possono mettendosi letteralmente in gioco divertendo e divertendosi. Diventano però le pedine di una commedia fantasy che una volta esaurite le idee e l’effetto sorpresa si trascina per inerzia tra gag e dinamiche ludiche che ruotano e si sviluppano quasi esclusivamente sulle diversità tra l’epoca attuale e quella medioevale viste attraverso gli occhi di persone catapultate in un tempo che non è il loro. E la mente non può non tornare a Non ci resta che il crimine o ad A spasso nel tempo, con la sostanziale differenza che in Lupi mannari la questione diventa l’opportunità per parlare di tematiche legate alla crisi coniugale, ai figli di diversi matrimoni e alla famiglia in generale. Non siamo dunque al cospetto della commedia francese sofisticata per eccellenza, ma a qualcosa che non va oltre l’intrattenimento da divano di casa per una serata all’insegna della leggerezza con i propri affetti. Formula che a quanto pare basta e avanza per conquistare la vetta della top ten dei titoli più visti su Netflix nella settimana di uscita.
Lupi mannari: valutazione e conclusione
Anche i giochi da tavola e di ruolo possono fornire a produttori, sceneggiatori e registi del materiale dal quale partire per dare vita a delle trasposizioni cinematografiche degne di nota. La dimostrazione c’è la data decenni fa Cluedo e il suo riuscitissimo adattamento dal titolo Signori, il delitto è servito, divenuto a sua volta un grande classico. Suo e nostro malgrado non si può dire la stessa cosa di Lupi mannari, la cui fonte d’ispirazione ha a suo tempo divertito grandi e piccini ma che nel passaggio dal boardgame allo schermo non ha ottenuto gli stessi risultati. Il divertimento non manca, anche grazie al lavoro del cast a disposizione dove spicca uno Jean Reno in versione nonno svampito, ma esaurite le idee iniziali si finisce con reiterare gag e dinamiche ludiche che ruotano esclusivamente tra le differenze tra le due epoche contrapposte chiamate in causa. La scrittura non si sposta di un centimetro da queste e di conseguenza l’interesse e l’affezione nei confronti del film e dei personaggi va affievolendosi.