Luther – Verso l’inferno: recensione del film su Netflix
Idris Elba riprende i panni del suo tormentato ma affascinante detective per acciuffare un pericolosissimo serial killer interpretato da Andy Serkis. Luther: Verso l'inferno è su Netflix dal 10 marzo 2023.
In un modo che con molta eloquenza allude ai confini fluidi tra la serialità e il cinema contemporanei, Luther: Verso l’inferno, su Netflix dal 10 marzo 2023, prosegue e conclude (?) nella forma del film “breve” il percorso del detective impersonato con gran successo da Idris Elba (la casa originale si chiama Bbc) per un totale di 5 stagioni, dal 2010 al 2019. Il film è scritto da Neil Cross, anche creatore della serie Tv, diretto da Jamie Payne. Nel cast oltre al già citato protagonista Andy Serkis, Cynthia Erivo e Dermot Crowley.
Londra, serial killer, malinconie esistenziali, un bel po’ di violenza. Non sorprende la facilità con cui il film riesce a trasmettere allo spettatore la crepuscolarità dei toni; il personaggio e l’universo di riferimento hanno un passato importante. Affermazione, questa, che non deve scoraggiare chi ha poca dimestichezza con la storia. Luther: Verso l’inferno è un film accessibile, si conoscano o meno le 5 stagioni di pregresso, perché quello che conta trova il modo di farcelo sapere nei primi cinque minuti. Il fan accanito troverà l’esposizione ridondante. Lo spettatore casuale tirerà un sospiro di sollievo. C’è un terribile serial killer in città. John Luther (Idris Elba) ha provato a dargli la caccia, senza risultati. Una serie di circostanze impreviste lo ha costretto ad abbandonare il lavoro a metà strada. La circostanza più importante: è in galera.
Luther – Verso l’inferno: il mostro e il poliziotto
Si chiama Callum Aldrich (James Bamford), lavora come inserviente. Sparisce nel nulla e John Luther (Idris Elba) promette alla madre (Hattie Morahan) che farà tutto ciò che è in suo potere per chiarire la faccenda e riportarglielo. Il problema è che Callum è finito nella tela di un ragno pericolosissimo (Andy Serkis). Molto più di un serial killer, questo architetto della pura malvagità punta le vittime scoperchiandone i segreti più vergognosi e inconfessabili. Dietro la promessa/minaccia di renderli pubblici, li costringe a fare tutto quello che vuole. John Luther potrebbe fermarlo ma non lo fa perché ha un problemino da risolvere che assorbe buona parte del suo tempo. Deve trovare il modo di uscire di galera.
Luther: Verso l’inferno parla di vergogna e corruzione, degli angoli bui dell’animo umano e del meglio che si può fare per trovare un po’ di sollievo e redenzione. John Luther ha il marchio del buon detective: intuito, empatia e la giusta cocciutaggine. Il suo modus operandi, sull’orlo di un aspro precipizio morale, è incompatibile con gli standard etici che la giustizia reclama per i suoi custodi. Non si può sfuggire ai propri peccati, oltre un certo punto, Luther lo sa. Il problema è che il suo peccato più grande, un’indagine lasciata in sospeso, una promessa mancata, non lega con la prigione. L’egoismo dell’evasione è mediato da un intento altruista: mettere a nanna, possibilmente per sempre, il mostro. A inseguire Andy Serkis c’è già qualcuno che ci pensa.
Il chief inspector Odette Raine (Cynthia Erivo) guida le infruttuose indagini sul killer, che si chiama David Robey ed è molto abile a sfruttare le potenzialità della tecnologia per illuminare le vulnerabilità delle vittime, che poi manovra da quel gran burattinaio che è. Odette è costretta a gestire un incubo in tre parti: fermare il mostro, turarsi il naso e collaborare con Luther, trovare un modo per rispedirlo in galera una volta risolto il caso. Crede sia una buona idea recuperare dall’oblio (pensionamento forzato) Martin Schenk (Dermot Crowley), l’unico che sa come rapportarsi a Luther e che lo conosce a fondo. Basta così. A raccontare questa storia, non ci si può spingere oltre.
Cosa succede quando una serie Tv si “trasforma” in un film
Il passaggio dal film “lungo” (la serie Tv) al film “breve” merita un approfondimento. Luther: Verso l’inferno non ha scelta, in due ore e dieci minuti deve concentrare un certo numero di dettagli – psicologici, narrativi, figurativi – che altrimenti potrebbe permettersi di distillare con un altro passo e un altro ritmo. Si tratta di una sfida inedita per il personaggio. In casi del genere il rischio è di sbagliare due volte, sopravvalutando i benefici della lunga durata e sottovalutando la forza della concisione: la regola d’oro di una buona scrittura (e di una buona regia) è sempre: fornire il maggior numero di informazioni nel minor tempo possibile. Quindi, largo al cambiamento. John Luther è l’ennesimo prodotto “espanso” di un modo nuovo, chissà se convincente, certo più fluido e aperto alle contaminazioni, di raccontare storie. Ci sono delle differenze evidenti tra la serie e il film.
Luther: Verso l’inferno gestisce la transizione tra i due formati senza intaccare l’atmosfera generale, che resta brumosa, fosca e abbastanza disperata. Punta sul carisma malandato ma irresistibile dell’eterno aspirante James Bond Idris Elba, sarebbe ora di smettere di parlarne, a cominciare da questa recensione. La sua è una vulnerabilità efficace perché contrasta con una fisicità prepotente e un carisma indiscutibile. C’è del metodo nella follia diabolica di Andy Serkis, campione di perversione strisciante, una gran dignità e fermezza nell’onesta detective Cynthia Erivo. A lei, senza eccedere con gli spoiler, toccherà la prova (morale) più pesante.
Proprio nel racconto dei personaggi, per così dire, laterali (il mostro, la poliziotta), si misurano le principali differenze tra il Luther seriale e quello cinematografico. Neil Cross sceglie di sacrificare lo scavo delle psicologie individuali in favore di un’esplosione di follia omicida e violenza raccapricciante, servito dalla regia muscolare di Jaime Payne. L’azione prevale sull’esplorazione di tante intimità complicate, con l’eccezione evidente dei tormenti privati del protagonista. Una scelta, questa, che se a monte è probabilmente inevitabile per via dei tempi ristretti della storia, a valle non aiuta il film a raggiungere la profondità auspicabile. Vale soprattutto per il personaggio di Andy Serkis, un cattivo che produce un orrore molto potente, abbastanza superficiale.