Macbeth: recensione del film di Roman Polanski
Mai, prima del film di Polanski, la figura di Macbeth era sembrata così fiacca, inetta e inerme come lo è nella memorabile sequenza del banchetto, in cui il re sembra essere quasi la portata principale.
Nel 1971 la carriera di Roman Polanski subisce una deviazione imprevista. È l’anno di Macbeth, riproposizione cinematografica della tragedia shakespeariana che già aveva conosciuto altre riletture (da quella di Orson Welles, nel 1948, a quella di Akira Kurosawa, nota col nome di Trono di sangue, nel 1957) e conoscerà altrettante, fra cui il Macbeth di Bèla Tarr, Uomini d’onore (di William Reilly) e la recentissima rivisitazione realizzata da Justin Kurzel nel 2015, con protagonisti Michael Fassbender e Marion Cotillard.
Deviazione, si diceva, perché stavolta discernere il vissuto del regista dalla sua opera sarebbe una svista colossale: è di fondamentale importanza, infatti, l’evento che ebbe luogo (e risonanza mediatica con pochi precedenti) presso la sua casa a Beverly Hills, appena due anni prima della realizzazione del film, ossia l’omicidio di Sharon Tate, allora moglie del regista.
Macbeth: il caso al centro delle vicende nella trasposizione di Roman Polanski
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Il tema dell’assassinio non è mai risultato così preponderante, centrale e vigoroso come in Macbeth, opera immediatamente seguente alla sanguinosa vicenda che da vicinissimo riguardò Polanski, lasciandolo traumatizzato per anni e intaccando anche la sua carriera, con opere (Che?, 1972) che non riscossero grande successo. Per la prima volta, la tragedia del Bardo dell’Avon non conosce giustizia: non esiste giusta correlazione meccanica fra azioni e reazioni, non esiste giusta pena inflitta a chi commette reati di primo o secondo ordine, e non esiste giusto modo di agire.
Questo, in primo luogo, perché per la prima volta dall’affresco proposto del re scozzese emerge una figura infantile, tremante e spaventata, estremamente sprovveduta e intimorita da figure manipolatrici.
Roman Polanski pone il caso, elemento spesso dimenticato nelle trasposizioni filmiche di matrice shakespeariana, al centro delle vicende, conferendo all’opera un sapore nuovo legato all’imprevedibile e, dunque, al destabilizzante. Nella girandola di sangue descritta da Shakespeare e ritratta da Polanski, i personaggi sono anelli che occupano tutti il posto giusto in una catena, eppure sembrano perire per circostanze esterne e del tutto incontrollabili, al di fuori della volontà umana.
Macbeth e le turbe della psiche, che diventeranno il caposaldo del cinema polanskiano
Gli ambienti, che in Macbeth sono fatti di fango e polvere e strettamente connessi a luoghi concreti, paesaggi reali che sottolineano con maggior nerbo affari di stregoneria, duelli e guerre medievali. Più di chiunque altro, il regista sembra comprendere a fondo gli ormai celebri versi tramite cui Macbeth esprime le proprie afflizioni legate all’illogicità della vita e alle dinamiche dell’esistenza, regole indecifrabili quasi come se fossero soltanto la proiezione di un concetto ideato dalla mente umana per avere l’illusione di un controllo che non c’è.
In Macbeth si respirano già clima e toni di quel che poi, in seguito, sarà il cinema polanskiano, totalmente focalizzato sulle turbe della psiche e sulla personalità umana: ogni protagonista è costantemente sull’orlo dello smarrimento, alienato, spesso delirante (ne sono testimonianza le virulente visioni e apparizioni, materializzazione di inespugnabili sensi di colpa). Gran parte del lavoro di Macbeth è da attribuire ad atmosfere anticipano lavori successivi (L’inquilino del terzo piano) e alle splendide prove attoriali a supporto dell’ormai mitico testo: Jon Finch è perfettamente calato nella parte del grande nobile disorientato, di un potente solo “per etichetta”, per discendenza (e neppure di sangue); ma, nel profondo, privato del potere, del comando, in balia di rimorsi e allucinazioni infernali. Mai prima d’ora, come con il potente dramma di Polanski, la figura di Macbeth era sembrata così fiacca, inetta e inerme come lo è nella memorabile sequenza del banchetto, in cui il re sembra essere quasi la portata principale. Al passo coi tempi e aderente alla società dell’epoca anche la caratterizzazione di Lady Macbeth, personaggio femminile generato dai movimenti che animarono gli anni settanta.
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