Machete Kills: recensione del film
Forte del successo del primo capitolo, Robert Rodriguez torna a dirigere Danny Trejo in Machete Kills, rincarando la dose di adrenalina, azione e tacos
Tutto era iniziato nel 2007, con quel fake trailer in quel di Grindhouse – Planet Terror, dove Robert Rodriguez aveva fatto assaporare al pubblico la poderosa presenza di Machete Cortez interpretato da Danny Trejo, una versione più rigida e inaccessibile del buon vecchio zio in Spy Kids.
Machete Kills, film del 2013 e secondo capitolo di quella che vuole dichiaratamente essere una saga, costruisce la sua epopea attorno alla figura mitica e aleatoria di Machete, che non possiamo definirlo né eroe né anti-eroe messicano di questa realtà fittizia ma solo protagonista indiscusso, poiché è chiamato a condividere lo schermo con altri big come Lady Gaga, Antonio Banderas, Vanessa Hudgens, Demián Bichir, Sofía Vergara, Alexa Vega, Cuba Gooding Jr. e ultimo, ma non meno importante, Mel Gibson. Quasi una rimpatriata tra vecchi amici per così dire!
La trama, abbastanza minimale, vuole che Machete, assoldato direttamente dal presidente degli Stati Uniti (interpretato da Charlie Sheen, raffigurato anche qui come donnaiolo patentato) disarmi una testata nucleare puntata su Washington e la Casa Bianca; così ha inizio il viaggio che lo condurrà nuovamente in Messico, grazie all’aiuto di un’aitante Miss San Antonio (Amber Heard).
Machete Kills: la furia de Mexico colpisce ancora
Machete, con il passare degli anni, si è indurito nei lineamenti del volto ma non perde quella verve che mostra sul campo di battaglia. Sembra indossare una maschera quasi da renderlo privo di emozioni, passivo, incurante della situazione in cui si trova coinvolto.
Basta pensare alla sequenza della sua impiccagione, dove la messa in scena restituisce un corpo e un viso impassibile dello stesso. Infatti, grazie all’uso del piano ravvicinato, possiamo notare il suo sguardo, che in maniera inquietante segue i movimenti dello sceriffo Doakes (William Sadler, ruolo a lui familiare già nella serie Roswell). Questo ricorda molto quei quadri raffiguranti il Cristo, dove gli occhi sembrano muoversi in ogni direzione, a manifestazione della sua presenza onnisciente, a metafora della figura di Machete.
Gli stacchi di montaggio passano dal mezzo busto alle gambe immobili del protagonista, a dimostrazione di quel distaccamento, tanto da beffarsi della morte stessa.
La narrazione si presenta come una struttura circolare che ha il suo inizio con un nuovo trailer, Machete Kills Again, al fine di ricreare quell’apparente e illusoria condizione che si ricrea in una sala cinematografica (quando invece adesso ne possiamo fruire comodamente nei nostri ambienti domestici, grazie all’accessibilità di Netflix). Sono pochi minuti, prima dell’inizio del film, in cui è introdotto un nuovo capitolo della saga, Machete nello spazio! Lo stile richiama quei film degli anni ’70, dove la pasta visiva è resa graffiante e sporca, al fine di simulare l’effetto della pellicola sgranata che però risulta modestamente esagerato.
Machete Kills, la vendetta che non muore mai, cambia solo obiettivo
Adesso il film può avere inizio e la sigla lascia lo spazio alla narrazione, fino all’epilogo finale che torna al punto di partenza, riallacciandosi a quel trailer iniziale in modo da chiudere quel cerchio e dare l’input per il sequel.
Vediamo, adesso, come Rodriguez si sia divertito nel realizzare questo film, creando un prodotto visivo e mediale ibrido, dove mette in gioco aspetti che appartengono a una forma di cinema espanso; infatti, mette in campo elementi che vanno dal trailer cinematografico al video di propaganda elettorale, dal messaggio informativo all’annuncio radiofonico.
Ma non solo, perché anche il montaggio è frutto di un patchwork stilistico dove il cambio di scena è segnato dalle transizioni video: tendine di varia natura, comparsa diagonale, etc., per poi passare allo split screen che seziona l’inquadratura in varie aree visive, permettendo di unire ambienti e personaggi diversi in tempo reale; per passare poi al timecode on display, in qualità di elemento che scandisce lo scorrere del tempo filmico. Questi ultimi due elementi, rievocano il lavoro fatto nel 2000, da Mike Figgis nell’omonimo film Timecode, modello narrativo ripreso poi l’anno seguente per la serie televisiva 24 ideata da Joel Surnow e Robert Cochran.
Machete Kills: un film ibrido
Oltre a questi escamotage narrativi, Rodriguez utilizza anche flashback e flashforward che ci permettono di ricollegare eventi e personaggi riguardanti il primo Machete o spianare la strada per un possibile sequel. Inoltre, nel corso della trama sono percepibili alcuni tagli di montaggio, voluti o casuali, che interferisce la narrazione e crea, così, degli istanti di completo disorientamento per lo spettatore.
Rodriguez, anche in questo film, presenta una serie di stilemi appartenenti alla cultura popolare degli ultimi decenni (anni ’90 in particolar modo), dalle maschere del simbionte Venom che indossano i soldati della milizia privata, alla maschera da lottatore di wrestler del villain Luther Voz (che per assonanza ricorda lo storico nemico di Superman e qui interpretato da Mel Gibson), fino alle continue e pressanti citazioni di una delle saghe cinematografiche più remunerative della storia del cinema: Star Wars.
Rodriguez crea una fotografia satura che esalta la pienezza delle tinte, in modo particolare si diverte a mischiare colori primari, come sulla tavolozza di un pittore, per ottenere i rispettivi complementari; già dalle fasi iniziali del film emerge questa caratteristica nei titoli di testa dove i toni sono messi in risalto dal fondo nero. Inoltre, dissemina per tutto il film elementi dai colori accesi e brillanti che spiccano allo sguardo: in primis il sangue che sgorga a fiumi, al rosso delle labbra, dello smalto o del vestito della Miss, o quello della cravatta del presidente che fa contrasto con il blu del completo, fino alle luci al neon che decorano il bordello Desdemona quasi a voler richiamare proprio quegli istinti primordiali.
Machete Kills: “La giustizia e la legge non sempre sono la stessa cosa”
In una rilettura attuale del film, possiamo inoltre affermare che Rodriguez, attraverso Machete Kills è stato in grado di anticipare i tempi, attraverso una lettura politica e sociale che si rispecchia negli Stati Uniti di oggi, andando ad accelerare il corso di quegli eventi che hanno avuto bisogno di anni per maturare. Basta pensare all’attuale presidente Americano per cui lo ricorda Charlie Sheen con quel ciuffo tirato all’insù, quello sguardo beffardo ma non solo. Perché l’aspetto più inquietante è di come gli ideali premonitori di Rodriquez si siano concretizzati: dalla costruzione di un muro di confine tra il Messico e gli USA, alla necessità di sostenere la liberalizzazione delle armi fino al missile puntato dalla Corea del Nord, minacciando Washington.
Machete Kills non è un film da prendere sul serio, eccessivo nella forma, nella tecnica e perfino nella recitazione a tratti drammaturgica e teatrale; dove più volte è dichiarato il mezzo cinematografico che crea un abbattimento della quarta parete e dimostra allo spettatore la natura illusoria dello spettacolo. Basta pensare agli schizzi di sangue o di acqua che raggiungono la macchina da presa, fino a invadere parte dell’inquadratura.
Tuttavia, è proprio tutta questo esagerato eccesso a renderlo volgarmente spassoso ed eccentrico.