Venezia 80 – Maestro: recensione del film di Bradley Cooper
Un biopic coinvolgente. Maestro di Bradley Cooper ci vizia di note, poesia e dolore.
“Un’opera d’arte non risponde alle domande, le suscita”. Con questa citazione si apre il sipario di Maestro, il film diretto da Bradley Cooper (che si è occupato della sceneggiatura insieme a Josh Singer) e presentato in concorso alla 80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Un biopic sinuoso (prodotto da Martin Scorsese, Bradley Cooper, Steven Spielberg, Fred Berner, Amy Durning e Kristie Macosko Krieger), che scorre lungo la linea vorticosa sulla quale si adagia la relazione tra il direttore d’orchestra Leonard Bernstein (interpretato da Bradley Cooper) e la moglie Felicia Montealegre Cohn Bernstein (Carey Mulligan); un film che sfrutta perlopiù l’eleganza del bianco e nero per farci sprofondare in un tempo passato e la musica come misura per allineare armonie e disaccordi.
Maestro è un diagramma di storie d’amore, di passioni e di considerazioni sulla vita, la famiglia, l’arte, il successo, la perdizione. Bradley Cooper, alla seconda prova dietro la macchina da presa dopo A Star Is Born, canalizza la sua ammirazione per Bernstein, la dimestichezza con la musica classica e le riflessioni sul mondo dell’arte in un’opera cinematografica che si fa testamento dell’idea stessa di talento. Non a caso c’è una frase che percorre tutta la pellicola ed è quella in cui la parola dono fa rima con responsabilità, ovvero con l’idea che se si possiede una dote quest’ultima non va sprecata ma tutelata e sostenuta.
Maestro e la regia di Bradley Cooper: un gioco di pellicola e poesia
Come ci si relaziona però col proprio talento, con ciò che ci viene naturale, quando la vita inizia ad inserire tra le nostre pagine quotidiane la passione, l’attrazione e la distrazione? La storia narrata nel film, su Netflix dal 20 dicembre 2023, si inserisce come un ago tra le intercapedini della normalità, mostrandoci ascesa e dolore senza riserve, il che scatena empatia, voglia di travalicare lo schermo e trovarsi lì, in quel mondo in bianco e nero che diventa progressivamente più colorato, sottolineando la smodata attenzione di Cooper per le immagini, belle a tal punto da trasudare poesia.
Se il vissuto di Leonard Bernstein arriva così limpido e sincero allo spettatore gran parte del merito è della scelta registica di adoperare diversi stili senza trasmettere mai il trauma del cambiamento. Si passa da una pellicola formato 35 millimetri in bianco e nero, con l’inquadratura in 4:3, a un formato 1,85, invaso di colori e riprese d’ampio respiro. Non ci sono strattoni, nelle immagini, solo un fluido passaggio di testimone che ci traghetta dagli anni ’40 agli ’80, in un valzer di diapositive in cui convergono adagio scene di quotidiana affettuosità, sfrenati balli e furibonde liti. Il tutto intermezzato da alcol e sigarette, biglietto da visita di qualsivoglia artista geniale.
Che distratta perfezione! Questa esclamazione sovviene alla visione di certe inquadrature, come una scena da improvvisato musical che separa e unisce i due amanti interpretati da Bradley Cooper e Carey Mulligan per poi rovesciarli abbracciati a letto, nel dettaglio di un paio di piedi nudi intrecciati sotto le lenzuola o, ancora, l’immagine minuscola di Felicia (a distanza di diversi anni dal loro primo incontro), che progressivamente si rimpicciolisce, inghiottita dall’ombra del marito Leonard.
Nel coagulo di scene come queste, sparpagliate a centinaia nell’arco di poco più di due ore, si esaspera la vita oltre l’arte, mentre lo spartito coadiuva tutto, talvolta in maniera singolare, quasi straniante e fuori posto.
La colonna sonora composta da Leonard Bernstein e la chimica pazzesca tra Bradley Cooper e Carey Mulligan
Essendo tutto focalizzato sulla storia del noto direttore d’orchestra e compositore americano, è chiaro che la colonna sonora abbia un ruolo centrale in Maestro. Composta dallo stesso Leonard Bernstein, la soundtrack vive di vita propria, aderendo alle immagini spesso in modo strano, come se volesse prolungarle o accorciarle, come se desiderasse distrarci dalle inquadrature per trascinarci nell’infernale paradiso della musica. Ci incanta, minuziosamente e brillantemente, bloccandosi all’improvviso nei deliri del pianoforte e tra le corde dei violini; fluendo libera lungo la scena o lasciando che a dirigerla siano le braccia allenate di Leonard, a cui Bradley Cooper regala un’interpretazione senza sbavature.
L’attore, che per assomigliare fisicamente al protagonista si è affidato al truccatore prostetico premiato agli Oscar Kazu Hiro (L’ora più buia, Bombshell – La voce dello scandalo), trova palesemente nella personalità di Bernstein un effettivo contatto con la sua anima: la fluidità con cui si cala nella parte di Lenny è disarmante tanto quanto la complicità che instaura con la magnifica Carey Mulligan, il cui carisma trasuda in ogni particella, inebriando l’intera storia. Nella sua Felicia convive tutta la luce femminile e dirompente di una donna che si fa attrice, attivista, moglie e madre, senza mai perdere il suo centro. Interessanti, a tal proposito, le frasi che dice all’amica e cognata, nelle quali sottolinea l’intenzione di sparire, qualora l’amore per il marito diventasse un sacrificio, un mettersi da parte.
L’amore, già, questo è uno dei pilastri principali su cui si regge il film, che parte dall’amore per la musica ma poi si trasforma inevitabilmente in altro, fino a confondersi favolosamente. Perché Maestro è, al netto di tutto, il racconto di un matrimonio, di persone che bruciano in fretta e poi si spengono, non si comprendono, si separano e poi si riprendono. E c’è libertà, in tutto questo; una libertà che sconfina anche nei rapporti, nella naturalezza con cui Lenny vive la sua sessualità, trasmettendo allo spettatore la purezza dell’amore.
Anche se tutto ruota attorno alla bravura dei protagonisti, Maestro affida i contorni della scena a un cast perfettamente calato nella storia, in cui ogni piccolo tassello interpretativo funge da collante per la buona riuscita della pellicola. Matt Bomer, Maya Hawke, Sarah Silverman, Josh Hamilton, Scott Ellis, Gideon Glick, Sam Nivola, Alexa Swinton e Miriam Shor compongono dunque quel materiale umano necessario a definire i contorni della narrazione.
E c’è il dolore, poi, insieme a tutta quella felicità, ci attraversa lentamente come una lama per ricordarci che nulla è eterno, che il talento è niente senza la fortuna e il successo sparisce dinnanzi all’indisciplinatezza. La musica parafrasa allora la vita per insegnarci l’arte della sinfonia, del cucire insieme, armoniosamente e non senza sacrificio, tutti i tasselli in nostro possesso, affinché l’orchestra respiri sui battiti del nostro cuore, là dove si spinge il nostro più intimo sentire.
Maestro: valutazione e conclusione
Con una regia fatta di poesia, incasellata dalla fotografia limpida di Matty Libatique, Maestro risulta equilibrato ed elegante. Sa emozionare, fare male e trasformarsi continuamente, preferendo la bellezza della sbilenca umanità alla rigida andatura di uno spartito già noto. Perfetto? Forse no, ma smuove dentro, invade gli occhi di meraviglia e i timpani di musica celestiale.