Making of: recensione del film di Cédric Kahn

Il cinema che parla di se stesso si arricchisce di un nuovo, divertente capitolo con Making of, la commedia venata di malinconia diretta da Cédric Kahn e in arrivo nelle sale italiane il 26 settembre 2024.

Anche se Cédric Kahn nicchia, quando si tratta di riconoscere il debito di riconoscenza, è vero che, dei tanti film sul cinema, Making of – nelle sale italiane il 26 settembre 2024 per I Wonder Pictures – deve molto a Effetto Notte (1973) di François Truffaut. Entrambi raccontano il cinema dal punto di vista di chi lo fa, entrambi evitano la sintesi esaustiva, non hanno cioè pretese totalizzanti, filmando piuttosto situazioni esemplari che ci aiutino a capire in cosa consista il mestiere del cinema. Ci sono anche tante differenze, è chiaro, e forse qui ha ragione l’autore quando sottolinea che il suo è un altro tipo di film. Tanto per cominciare, c’è un contorno sociale da non sottovalutare. Nelle note introduttive, il film è presentato come l’incontro tra Boris e Ken Loach. Ci può stare, con le dovute precisazioni. Il cast di questo anomalo esempio di cinema che riflette su se stesso comprende Denis Podalydès, Jonathan Cohen, Stefan Crepon, Emmanuelle Bercot, Souheila Yacoub.

Making of: cinema che parla di cinema (ma non solo)

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Il set di un film che un tempo, da noi, sarebbe finito sotto la voce “cinema d’impegno civile”. Il regista si chiama Simon (Denis Podalydès) ed è un uomo totalmente, teneramente, tragicamente allo sbando. Importante premetterlo, perché il mood scelto da Cédric Kahn è decisivo per capire il mondo del cinema anche al di là di quello che la storia racconta, o non vuole raccontare perché non c’è tempo o spazio a sufficienza. Making of è un film su tante cose e in particolare sul cinema e l’idea di spettacolo, su cosa possa essere considerato oggetto di rappresentazione spettacolare e cosa no (parola di regista: praticamente tutto). Ma è anche un film sul cinema come emozione, stato mentale, attitudine, condizione psicofisica, senza filtri o verità consolatorie. Il cinema di Making of è un affare ansiogeno e delirante che nuoce alla salute di chi lo fa; è il regno dell’imprevisto, dell’avidità e del narcisismo, pure della stupidità.

È anche un bisogno, una necessità insopprimibile che bisogna portare avanti quando non si ha più l’energia o è impossibile ricordare perché si è scelto (scelto?) di fare questo lavoro. Anche quando il fuoco dell’ambizione divorante è andato via, Simon continua a girare il suo film su una fabbrica, sugli operai che vogliono autogestirla e le storture del capitalismo. E non molla. Anche se il protagonista Alain (Jonathan Cohen) è un vuoto bellimbusto che litiga con la collega Nadia (Souheila Yacoub), anche se sua moglie Alice (Valérie Donzelli) lo ha praticamente messo alla porta, anche se la fedele Viviane (Emanuel Bercot) fa quello che può, anche se Marquez (Xavier Beauvois) promette finanziamenti ma non li trova e i produttori (un grande classico) vogliono cambiargli il finale.

Troppo deprimente raccontare la verità, che gli operai inevitabilmente perdono la battaglia per il loro lavoro. Il pubblico ha bisogno di essere tirato su di morale. Non sarebbe meglio salvaguardare gli incassi raccontando una sporca (ma consolatoria) bugia al posto di una verità impietosa? Simon si oppone e perde i finanziamenti. Il film è sull’orlo del baratro e l’unica soddisfazione arriva dal lavoro di Joseph (Stefan Crepon), comparsa dalle grandi ambizioni che si ritrova per caso a curare il making of, dietro precisa indicazione di Simon che in lui coglie una scintilla di puro cinema. Il suo lavoro risulterà interessante e decisivo, più del previsto. Succede tutto sotto un cielo di imperturbabile malinconia venata di umorismo che non declina mai in farsa o dramma compiaciuto. È l’ambiguo mood del film che spiega molto di quello che Cédric Kahn ha in mente con Making of.

Tutto è spettacolo, anche lo spettacolo

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Del cinema che parla dello stato delle cose, Making of non ha il cinismo e l’accento satirico/dinamitardo, l’attitudine punk e serafica, di Robert Altman (I protagonisti). Anche se guarda, nei toni e nel tipo di impianto narrativo, alla verità spesso fraintesa di Truffaut (nel “delicato” Effetto Notte c’è la morte, il tradimento, la malattia, la salute mentale), sa quando è necessario distanziarsene. Making of è un film di un’esuberanza contenuta, non felliniana, sui mille piccoli grandi imprevisti (colti nell’essenzialità di un tono tragico e comico insieme) che lastricano la via del cinema e separano l’artista dalla creazione. E che sono, forse, una tappa ineludibile nel percorso. Forse.

Al film di Truffaut si rimproverava – a torto perché le reticenze erano questione di pudore e non di ipocrisia – l’assenza di uno sguardo affilato sul privato dei cineasti, come nel caso della leggendaria pugnalata critica di Godard (“non si capisce perché in questo film fanno tutti l’amore tranne il regista“). Qui, senza scendere troppo nei dettagli, il racconto del rapporto a brandelli tra un regista e sua moglie spiega molto dell’invadenza del mezzo e del lavoro su vita e famiglia. Una faticaccia fare il cinema, buffa nella sua incontenibile amarezza.

Il tono del film si adatta alla considerazione e la cosa ha perfettamente senso. Tragico e comico, Making of, deprimente ma da imbrigliare con un sorriso. La critica più feroce che il regista rivolge a se stesso – e indirettamente al voyeurismo del pubblico – è la tendenza a calpestare tutto (verità, fatti, sentimenti) nel nome dello spettacolo. Se tutto è spettacolo e nulla è sacro, cos’è davvero lo spettacolo? Making of, cronaca divertente e un po’ triste sul cinema come creazione e (soprattutto) lavoro, è una celebrazione, non un atto d’accusa. Dov’è il riscatto? Nell’impossibilità di fare a meno di questo sporco lavoro e dei suoi esiti, a volte discutibili, a volte grandiosi. Nella decisione di salvaguardare l’integrità dello sguardo cinematografico rivolgendolo proprio contro il cinema. Nel progressivo scivolamento per cui le iniquità sociali che Simon cerca di raccontare – lavoratori in lotta per la sopravvivenza – diventano il pane quotidiano di una troupe che per continuare deve decidere: mollare tutto o lavorare gratis? Il sociale non è un escamotage d’occasione, è un lucido punto d’appoggio per un film che ha molto da dire sulla vita e sul cinema. Senza la pretesa ridicola di spiegare tutto racconta molto, in maniera interessante.

Making of: valutazione e conclusione

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Making of usa in maniera semplice e intelligente i suoi attori. L’energia spaccona di Jonathan Cohen, l’elettricità sensuale di Souheila Yacoub, l’attitudine piegata ma non spezzata di Denis Podalydès. Una lucidità d’impiego che riflette le idee chiare del regista e la linearità della sua critica/carezza al mondo di cui fa parte. Una commedia seria, da qui il divertimento, che gioca sul crinale del paradosso: spiega l’arte, raccontando il mestiere. Riduce l’atto creativo a una serie di miserabili decisioni e a un mare di imprevisti, rilanciandone l’importanza e la poesia. Cédric Kahn fa due cose, bene: riesce a trovare la chiarezza nell’ambiguità dei toni (è una commedia, è vero, ma ha le sue malinconie) e imbastisce una forma di racconto che unisce spettacolo, riflessione, arte, privato e sociale. Non il miglior film sul cinema, ma un validissimo contributo.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1