Malcolm & Marie: recensione del film Netflix di Sam Levinson
Un neo-regista e la sua musa si scontrano in un insidioso campo di battaglia emotivo, in cui amore e arte si sovrappongono dando vita a un intenso racconto metacinematografico.
Un evento speciale, la tanto attesa premiere del suo primo film da regista, che riceve il plauso del pubblico, è il primo antefatto di Malcolm & Marie, film originale Netflix per la regia di Sam Levinson, in arrivo sulla piattaforma streaming il 5 febbraio 2021. La coppia torna a casa, una splendida villa immersa nel verde, Malcolm (John David Washington) è al settimo cielo e comincia a parlare di tutto ciò che è accaduto quella sera, ubriaco di adrenalina e forse anche un po’ incredulo per tutto il successo riscosso. Marie (Zendaya) invece è evidentemente tesa, e malcela una malinconia ancestrale e indecifrabile.
Quella che fino a quel giorno era stata la musa del giovane e brillante debuttante sembra aver assolto definitivamente la sua funzione, ridotta ora a splendida, mera figurante, nel suo avvolgente e sensualissimo abito da sera. Malcolm continua a parlare, criticando le recensioni che ancora devono uscire e che sicuramente fraintenderanno il messaggio del suo film per il semplice fatto che è un regista nero, e che quindi la sua opera non può non contenere un messaggio su razzismo e integrazione. Preoccupazioni e pregiudizi si sovrappongono in un monologo che appare isterico e a tratti insensato ma che è solo il preludio di una notte destinata a prendere una piega ancor più complicata.
Malcolm & Marie: una mancanza imperdonabile
Marie finalmente parla, rivelando il motivo del suo turbamento e il vero antefatto. Malcolm ha dimenticato di ringraziarla, durante il suo discorso dopo la proiezione del film, nonostante quella storia parli di lei e di tutto ciò che ha fatto affinché il sogno del suo compagno diventasse realtà. Nonostante sia stata la sua musa, la sua spalla, la sua consigliera, colei – a parer suo – senza la quale quel film non sarebbe mai esistito. Ma Malcolm non sembra essere dello stesso avviso: sommessamente mortificato per la sua mancanza, tuttavia comincia a confinare Marie e il suo amore per lei in uno spazio molto più ristretto e meno indispensabile, rimarcando come ogni opera sia l’insieme dell’intero vissuto di un cineasta. E come in realtà sia piuttosto lei ad aver bisogno di pensare di essere così fondamentale.
Da qui, ecco scattare la miccia di una notte claustrofobica e infinita, con la coppia incastrata in un empasse che sembra risucchiare i protagonisti ogni qual volta tentano di rialzare la testa.
Guarire per amare, non amare per guarire
Malcolm & Marie è stato il primo film ad essere girato e ultimato in piena pandemia di Covid-19. La location, una splendida casa tutta vetrate, immersa nella campagna, e la presenza di due protagonisti assoluti, non solo hanno reso possibile una tale impresa ma sono stati al servizio di una metafora della pandemia stessa, mettendo in scena un lockdown emotivo in cui la coppia non ha altra via d’uscita che le brevi boccate d’aria che può prendere aprendo le finestre, in una sorta di confronto-scontro obbligato, indesiderato ma non più procrastinabile.
La telecamera si aggira furtiva, spiando i protagonisti dall’esterno e dall’interno della casa e lasciandoli completamente esposti l’uno all’altra, anche nell’intimità del proprio bagno, in un gioco di trasparenze in cui nulla può sfuggire ad un’analisi sfibrante e viscerale, in cui ogni nodo è destinato a venire al pettine.
Ma Sam Levinson fa un ulteriore passo avanti scegliendo il bianco e nero, incastrando il suo racconto in un passato simbolico in cui forse niente potrà più tornare come prima, nonostante l’amore sia ancora forte e vibrante fra i due giovani, a causa di un’incrinatura che apre una voragine di non detti, insicurezza e dipendenza affettiva, dove senza la piena e costante approvazione dell’altro non si può né brillare né ritrovare la pace.
Si discute allora di autenticità, al cinema e in amore, di inganni, di un passato doloroso, di risentimenti per scelte non fatte, si cerca di perdonare e passare oltre, ma il dolore riaffiora all’improvviso in un calderone in cui ciò che viene veramente a mancare non ha niente a che fare con la coppia imperfetta e bellissima che stiamo conoscendo, ma con irrisolti antichi, destinati a ripercuotersi sulla relazione. Rischiando di mandare a monte un futuro al di fuori di quelle mura soffocanti e al di là di quella notte infinita.
Un intenso racconto metacinematografico
Fra dialoghi concitati, costante ironia e continui riferimenti al mondo del cinema, Sam Levinson sfrutta la pausa obbligata dalle riprese di Euphoria utilizzando il pretesto di una crisi di coppia soprattutto per fermarsi a riflettere sui suoi traguardi professionali. Sollevando numerose domande sulla libertà creativa, sulla differenza fra ciò che arriva a pubblico e critica e quello che un cineasta avrebbe invece voluto dire (o sentirsi dire), su come i pregiudizi e le aspettative possano condizionare irreversibilmente il destino di un’opera così come quello di una storia d’amore. Il risultato è un efficace parallelismo in cui le critiche (e i critici) sono gli scomodi ma irrinunciabili fulcri della vita di Malcolm, dove anche una recensione positiva può farlo infuriare, se non in sintonia col proprio sentire. E anche la più amata delle donne può essere messa al bando, se decide di metterlo in discussione. Pur avendo ragione.
Malcolm & Marie è un esperimento complesso ma riuscito, illuminato dalle ottime performance di una coppia cinematografica che raggiunge una straordinaria alchimia. Una sorta di piece teatrale, in cui la musica si fa didascalia degli stati emotivi e il tempo della narrazione corrisponde a quello reale, contribuendo a coinvolgere uno spettatore in trepidante attesa che la tensione si sciolga e il sole torni a splendere, dentro e fuori dalle mura domestiche.