Malevolent – Le voci del male: recensione del film Netflix
La nostra recensione di Malevolent - Le voci del male, nuovo film originale Netflix di Olaf de Fleur Johannesson a tema case infestate
Malevolent – Le voci del male è un film del 2018 diretto da Olaf de Fleur Johannesson e interpretato da Florence Pugh, Ben Lloyd-Hughes, Georgina Bevan, Scott Chambers e Celia Imrie. Il film è basato sul romanzo Hush di Eva Konstantopoulos, in questo caso co-sceneggiatrice insieme a Ben Ketai. Malevolent – Le voci del male è stato distribuito su Netflix a partire dal 5 ottobre.
In pieni anni ’80 i fratelli scozzesi Angela (Florence Pugh) e Jackson (Ben Lloyd-Hughes) sbarcano il lunario truffando sprovveduti insieme al loro team, attraverso la messinscena di finti fenomeni paranormali, successivamente da loro eliminati con trucchi visivi e sonori. I due vengono contattati dalla Signora Green (Celia Imrie), che li assume per liberare la sua casa infestata dopo un tragico evento. Alle prese con un reale evento paranormale, Angela dovrà fare i conti con i propri reali poteri e con il ricordo della madre, morta suicida molti anni addietro a causa dello sdegno generale suscitato nei suoi confronti dalle sue esperienze nell’occulto.
Malevolent – Le voci del male: fra case infestate e fantasmi del passato
A pochi giorni dall’uscita della nuova serie Hill House, che con Malevolent – Le voci del male condivide anche alcuni risvolti del soggetto, Netflix percorre nuovamente il tema delle case infestate, proponendo ai suoi abbonati l’ennesimo mediocre prodotto di genere, destinato a non lasciare traccia del suo passaggio. Fin dai primi minuti del film di Olaf de Fleur Johannesson, comprendiamo infatti il motivo per cui, nonostante un periodo storico particolarmente propizio per gli horror al botteghino, non gli sia stato concesso neanche un breve passaggio in sala. Ciò che lascia particolarmente perplessi di Malevolent – Le voci del male non è tanto la scarsa cura della scenografia e la regia decisamente scolastica, caratteristiche comuni a molti prodotti televisivi di seconda fascia, quanto la pessima caratterizzazione dei due protagonisti, che fin da subito ci appaiono come personaggi bidimensionali e per certi versi fastidiosi, per le sorti dei quali è difficile provare interesse.
Con il rozzo cinismo di Jackson e il poco originale tormento sul proprio passato del personaggio della pur talentuosa Florence Pugh a fare da filo conduttore emotivo del primo atto del film, Malevolent – Le voci del male prende fin da subito la strada dei cliché scenografici e narrativi, che conduce inevitabilmente a una gestione della tensione fatta prevalentemente da jump scare, ombre, bisbigli e scricchiolii vari, intervallata solamente da qualche inquadratura da videotape in stile The Blair Witch Project. I poco più di 80 minuti di visione effettiva sembrano non scorrere mai, scanditi dalla ricerca di se stessa da parte di Angela e afflitti da una mancanza di idee e di originalità che ci dà la sensazione di assistere a un frullato delle peggiori ghost story viste al cinema e in tv nell’ultimo decennio.
Il terzo atto rende più accettabile Malevolent – Le voci del male
A rendere leggermente più digeribile la visione di Malevolent – Le voci del male è un terzo atto che impone una svolta forzata dal punto di vista narrativo, ma che ha almeno il pregio di spiazzare lo spettatore, conducendolo in territori inattesi. Fra rimandi a Non aprite quella porta e Il sesto senso e addirittura qualche breve e non sconvolgente accenno di torture porn, il film giunge a un finale tutto sommato soddisfacente, che riesce a spronare a una riflessione su quanto visto in precedenza e mettere al giusto posto tutte le tessere del puzzle. Troppo poco per riabilitare per intero la pellicola, ma abbastanza per giustificare almeno il tempo speso per la visione.
Anche se il livello medio delle recenti produzioni originali Netflix continua ad apparire in leggera crescita, il colosso di streaming con Malevolent – Le voci del male cade nuovamente nella sua sindrome da cestone dei DVD, diventando ultima spiaggia e immeritata possibilità di visibilità per produzioni che sarebbero con ogni probabilità andate incontro a un sonoro fiasco al box office. Uno scialbo prodotto di genere, che non riesce mai né a sconvolgere né a intrattenere, appesantito da una scrittura scadente e da prestazioni svogliate dei principali interpreti.