Venezia 78 – Mama, I’m home: recensione del film di Vladimir Bitokov
Una storia universale, diretta da Vladimir Bitokov.
Contraddizioni e instabilità sociale e personale sono le colonne portanti di Mama, I’m home, l”ultimo film di Vladimir Bitokov presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti Extra. Tonya è la madre di un giovane ragazzo inviato in Siria: alla notizia che il soldato è morto durante una missione, la donna si rifiuta fermamente di crederci, almeno finché non ne vedrà il corpo inerme con i suoi occhi. Da questo presupposto prende avvio una ricerca di risposte da parte delle istituzioni, le quali si limiteranno al silenzio o comunque a risposte laconiche. Da un lato una madre per lotta contro una notizia che si rifiuta di fare sua, dall’altra uno Stato che vede le persone solo in base al loro contributo e che baratta la vita delle persone con sussidi e indennità cercando solo così di lenire il dolore di una perdita: in questa situazione di stallo interviene però un giovane che, presentatosi alla porta di Tonya, sostiene di essere proprio il figlio scomparso.
Mama, I’m home: Kseniya Rappoport è Tonya, una madre alla ricerca della verità sulla morte di suo figlio
Mama, I’m home è un film coerente nella sua forma, fin dall’inizio preda di tremolii e instabilità di un obiettivo che segue i personaggi, si avvicina e si allontana esattamente come se fosse uno di loro a tenerlo in mano. In questo modo si tiene sempre viva la sensazione che l’obiettivo è presente, fuggendo l’illusione di una narrazione troppo costruita e patinata. A questo risultato contribuiscono anche scelte cromatiche fermamente legate ai toni seppia, marroni e beige che di fatto annientano i protagonisti all’interno della scenografia e li trasportano in una dimensione temporale potenzialmente indefinita. A parte un paio di scambi di battute, soprattutto nelle fasi iniziali, tutto il film si mantiene su un tono cupo e frustrato di una ricerca senza soluzione: solo i funzionari edili di fronte a un vecchio affresco dedicato a Stalin denunciano una posizione istituzionale definita a priori e priva di qualunque volontà di adesione alla realtà vissuta da chi è fuori dalla torre d’avorio in cui sono trincerati. Alla guida del suo autobus, Tonya non cede a ciò che dall’alto vogliono farle credere, e forte delle sue convinzioni procede imperterrita nella sua battaglia contro un apparato governativo che risulta peggio di un muro di gomma.
Nei panni della protagonista assoluta di Mama, I’m home, Kseniya Rappoport regala una performance solida e granitica, che bene fa da contraltare a un’estetica e alle inquadrature traballanti, in cui risulta molto difficile trovare punti fermi al di fuori della stessa Tonya. L’universalità della sua battaglia si scontra con un microcosmo politico e istituzionale che ne definisce le forme e le probabilità di successo e che è tanto ancorato alla stessa identità territoriale da non poter essere spazzato via con un semplice cambio di governo. Il vecchio edificio fatiscente e pericolante con il faccione di Stalin a mantenere vivo il ricordo di un’epoca che non esiste più solo in via ufficiale è il simbolo di una società che non riesce ad andare avanti e a rinunciare a un insieme di meccanismi che l’hanno modellata nel corso dei secoli. Vladimir Bitokov come giovane regista decide di presentare una storia universale come quella della madre, ma anche una battaglia profondamente legata al suo luogo di svolgimento, a una terra che si trova di continuo a fare i conti con il fantasma del suo passato, che troppo sovente torna in carne e ossa davanti agli occhi di tutti.