Mare di Grano: la recensione del film di Fabrizio Guarducci
Un film per bambini sensibile, una fiaba toscana che respira di quel cinema per ragazzi che vede il viaggio come un'avventura in cui si perde qualcosa e si acquista molto.
Tre bambini e una papera. Un cammino da compiere per arrivare al mare e cercare un ricordo, un appiglio per ritrovare mamma e papà. Mare di Grano, il primo lungometraggio di Fabrizio Guarducci, racconta di un’amicizia, di un viaggio nella Val d’Orcia e della crescita di questi piccoli eroi che compiono un lungo e meraviglioso rito di iniziazione. Il film narra di Adam, un bambino di otto anni, che compare all’improvviso in una piccola città vicino a Siena alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, del forte legame tra lui, Arianna e Martino, due ragazzini che lo accompagneranno nel suo vagabondare, delle ore passate a giocare con la fantasia usando la realtà. Mare di Grano è una fiaba per bambini in cui emozioni e sentimenti vivono scevri da impalcature e sovrastrutture: guardare le nuvole, cercare la pentola piena d’oro da cui si originano gli arcobaleni, avere come compagna di giochi una papera, “La Pina”. Non ci sono regole per Adam, Arianna e Martino, o meglio c’è solo una: vivere seguendo la fantasia. È interessante che i tre attori della pellicola abbiano anch’essi vissuto un’esperienza, quasi “educativa”, infatti i bambini non hanno letto prima la sceneggiatura, erano a conoscenza solo dell’itinerario geografico che avrebbero percorso, secondo Guarducci ciò avrebbe accresciuto la loro spontaneità e li avrebbe fatti vivere e non recitare il film.
Mare di Grano: il racconto di un’amicizia vera e sincera
Guarducci da sempre è interessato al linguaggio e all’educazione come mezzi per migliorare il singolo e l’intera comunità, infatti lavora proprio su questo: ritornare ad una crescita più “naturale”, lontana da tutto ciò che ci tiene “separati” da noi stessi e dai nostri simili. Mare di Grano riporta Adam, Arianna e Martino alle radici della collettività, alle sue leggende, e, a poco a poco, i tre amici riescono perfettamente a (ri)adattarsi al mondo, “salvandosi” solo grazie al loro rapporto e all’aiuto reciproco.
I problemi, gli ostacoli, le difficoltà diventano l’ennesimo motivo per ridere, l’ulteriore mezzo per crescere anche solo di poco: la timidezza “lentigginosa” e riservata di Adam si incastra perfettamente con la spavalda sfrontatezza di Arianna a cui si aggiunge la dolce morbidezza di Martino, pronto all’abbraccio e ad una ritrosa commozione. Sono un team, piccolo, di piccoli, ma vincente, traducono il vivere circostante secondo il loro sentire e il loro modo di recepire il mondo e, proprio grazie a questo metodo incantato e sorpreso, l’assenza di cibo, la mancanza dei genitori, la precarietà della loro giornata diventano avventura perenne.
La loro amicizia cresce e così cresce la loro immaginazione, capace di costruire e vedere mondi, di volare e nuotare in cieli e mari lontani. Questo viaggio fa vivere Adam, Arianna, Martino in una sorpresa continua, pronta a meravigliare chi sa meravigliarsi: il vento che fa suonare il mare di grano, le nuvole che raccontano storie infinite, i temporali e gli arcobaleni che rigano e disegnano il cielo.
Mare di grano: Rimando, il poeta che accompagna i bambini al mare
Nello loro cammino verso il mare si imbattono in un cavaliere errante come loro, un poeta che va di locanda in locanda a narrare storie meravigliose e fantasiose, un uomo sì ma con l’animo del bambino. Basta uno sguardo e i tre riconosco in lui un simile, qualcuno di cui si possono fidare. Rimando (Sebastiano Somma), questo è il suo nome, sulle note di “fantasia”, prende per mano Adam, Arianna e Martino, e li porta sul suo destriero, uno scalcinato sidecar, di spiaggia in spiaggia.
Rimando è folgorato da quei tre ragazzini, dai volti paffuti e sorridenti, dagli occhi grandi e pieni di voglia di scoprire cose nuove, ma è anche in grado di scorgere le tristezze, le fragilità di Adam – la scena della spiaggia ne è una prova -, e anche i bambini sono affascinati da lui. Per loro è un tipo strano sì, ma divertente, come di solito lo sono pochi adulti – i genitori di Arianna e di Martino li sgridano e non li capiscono -, ha un sacco di storie da raccontare, non si tira indietro mai ed è pronto a partecipare alla loro “battaglia”.
Lungo Mare di Grano lo spettatore, piccolo o grande che sia, viene catapultato in un mondo altro, dove le preoccupazioni del quotidiano non esistono più, passo dopo passo i pesi che gravano sulle umane spalle svaniscono per far posto ad un “uomo nuovo”, rigenerato e potenziato. Adam, Arianna e Martino imparano la condivisione – il racconto della tavola imbandita di Adam ne è simbolo -, la partecipazione alle avventure, alle vite, ai pensieri degli altri. Mare di Grano non racconta la società ipertecnologica, alienata, isolata, arida, racconta invece la società futura (fatta da questi bambini), spontanea, pronta all’accoglienza e all’abbraccio, quella che è capace di superare dolori, traumi, mancanze grazie alla fantasia e all’immaginazione.
Guarducci realizza un film per bambini sensibile, una fiaba toscana che respira di quel cinema per ragazzi che vede il viaggio come un’avventura in cui si perde qualcosa (una parte della fanciullezza) e si acquista molto (una maturità naturale e “viscerale”), in cui si cresce, si impara e si insegna, in cui si fanno proprie le esperienze degli altri e si regalano le proprie.