Venezia 79 – Margini: recensione del film di Niccolò Falsetti
La recensione della divertentissima commedia punk di Niccolò Falsetti, che dopo l’anteprima veneziana esce in sala con Fandango l’8 settembre 2022.
Se provi a mescolare la commedia con la musica punk e lo sai fare bene, con i giusti ingredienti e un dosaggio equilibrato di questi, allora è facile ottenere un buon risultato e un film come Margini. L’esordio di Niccolò Falsetti, scritto a quattro mani con Francesco Turbanti, presentato alla Settimana della Critica nel corso della 79esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia pochi giorni prima dell’uscita nelle sale con Fandango l’8 settembre 2022, è la prova che mondi sulla carta così apparentemente distanti possono incontrarsi e fare scintille senza necessariamente provocare cortocircuiti. Quelli che spesso e volentieri vediamo innescarsi e mandare in fumo spunti interessanti e idee potenzialmente buone che hanno alimentato la gestazione e la conseguente trasposizione di numerose opere prime, dove gli autori di turno ansiosi di fare tanto e subito bene hanno finito invece con lo strafare. Falsetti, al contrario, fa del poco a disposizione il meglio per sé e per il film che ne porta la firma. Il tutto supervisionato e confezionato da produzioni come dispàrte e Manetti bros. Film che generalmente rappresentano dei marchi di qualità. E Margini in tal senso non fa eccezione.
Margini racconta le tragicomiche vicissitudini di una band punk di provincia alle prese con la preparazione di un concerto che potrebbe svoltargli vita e carriera
La pellicola ci porta nella Grosseto del 2008 al seguito di tre giovani membri di una band punk che stanchi di suonare tra sagre e feste dell’Unità hanno l’occasione della vita per emergere quando un noto gruppo punk hardcore statunitense accetta di suonare con il loro in un concerto in loco. Un evento, questo, di grande portata che potrebbe fare decollare la loro carriera. Peccato che il piano si riveli più difficile del previsto a causa di una serie di ostacoli economici, tecnici e logistici, ai quali si vanno ad aggiungere i paradossi dell’abitare in provincia che trasformano ogni dettaglio in un problema insormontabile. Problemi che finiranno con il mettere contemporaneamente in discussione la riuscita dell’impresa ma soprattutto la loro amicizia.
In Margini si respira l’aria buona e fresca del primo Paolo Virzì e delle commedie di Gianni Zanasi
In Margini si respira l’aria buona e fresca del primo Paolo Virzì e delle commedie di Gianni Zanasi come Non pensarci, dove la scrittura all’insegna della leggerezza e lo humour sottile, intelligente e mai volgare, veicolavano tematiche altre e alte .Qui ritroviamo quello stesso approccio, spirito e modus operandi nei confronti della materia narrativa e drammaturgica, oltre che delle tematiche affrontate, ma anche il medesimo amore per i personaggi ai quali anche lo spettatore non può non affezionarsi e sentire vicino. Non si tratta di macchiette, bensì di figure reali, cucite addosso a chi è stato chiamato a interpretarli (Francesco Turbanti, Emanuele Linfatti e Matteo Creatini), per i quali si fa il tifo, soprattutto quando le cose non girano nel verso giusto. Cosa che accade piuttosto spesso nel corso della timeline, dettando le tappe di un romanzo di formazione e di riscatto personale che sfocia nel tragicomico, il più delle volte irresistibile (vedi la scena del sopralluogo alla balera per convincere il proprietario a mettere a disposizione il locale per il concerto). In generale ad Edoardo, Iacopo e Michele, la provincia e la sua forma mentis vanno sempre più strette, con la voglia di evadere, ma al contempo di restare per cambiare la propria condizione e scardinare le barriere. Barriere che i tre protagonisti cercano di abbattere con la propria musica, con la forza prepotente del punk e i fiumi di birra.
Un’opera prima che fa della scrittura semplice, del peso delle parole e delle emozioni cangianti il proprio baricentro
Margini diventa così lo specchio di una generazione che fa ancora più fatica a ritagliarsi uno spazio vitale e di azione in un presente che resta attaccato a convinzioni del passato e che non vede prospettive future. Ecco allora che il film si presenta come uno spaccato, come una finestra aperta su quelle generazioni che non smettono di sognare, ma che devono scontarsi con la disillusione e la mancanza di fiducia. Tutto questo traspare e diventa tangibile sullo schermo grazie a un’opera prima che fa della scrittura semplice, del peso delle parole e delle emozioni cangianti il proprio baricentro, su e intorno al quale ruotano la messa in quadro e il pregevole ensemble attoriale che vede la partecipazione di interpreti sempre affidabili come Valentina Carnelutti, Nicola Rignanese e Silvia D’Amico.