Marilyn ha gli occhi neri: recensione del film con Miriam Leone e Stefano Accorsi
Miriam Leone e Stefano Accorsi sono Clara e Diego, nuova coppia da scoprire nell’autunno cinematografico italiano. Arrivano nelle sale dal 14 settembre 2021, con Marilyn ha gli occhi neri. Vicenda toccante e sentita su un gruppo di pazienti di un centro diurno che ritrovano loro stessi in un imprevedibile progetto comune. Una vicenda di confini e verità, a cui Simone Godano, già regista di Croce e Delizia, dona un tono ibridato nel genere. Un po’ cinema americano, un po’ visione nordica; la malattia diventa cassa di risonanza e specchio per tutti. Un film di interni che infonde magia in vite al limite ma che non dimentica che “la gente è stronza”, e pure numerosa.
Marilyn ha gli occhi neri, che chiude il Bif&st 2021 prima di approdare alla sala – “A cui il film appartiene”, ci ha assicurato Simone Godano – grazie alla produzione di Groenlandia con Rai Cinema. Un film pronto al successo? Probabile. Per il cast – che riporta la coppia Leone Accorsi assieme dopo la serie 1992 – ma anche per il passaparola che potrebbe diffondersi in un periodo in cui raccontare storie di missioni impossibili, di rinascite insperate, è di certo formula fortunata. E necessaria.
In Papa Nuova Guinea, alla ricerca di sé
Marilyn ha gli occhi neri. Perché piange. Perché cade. Perché mente. Marilyn ha gli occhi neri e non si vede. Ma sa guardare gli altri. E dare fiducia a un mondo di matti. Diego però non si fa imbrogliare. Per lui, Clara – che da anni si è convinta di essere uguale alla Monroe – sembra non avere segreti. “Guarda che lo so che sei quella che dà fuoco alle case”.
È un mondo senza filtri quello di Marilyn ha gli occhi neri. Pieno di bugie e costruzioni ma privo di ipocrisie. Questi “matti”, scritto con la dolcezza che Vittorino Andreoli ci ha insegnato a ridare alla parola, non hanno misure. Né mezze, né intere. Si donano tra loro in completa libertà. Ma soffrono. Perché “gli altri sono tanti”. I normali.
Un gruppo ai confini del mondo, saturo di verità e vite diverse, di rado al centro della società, si trova d’improvviso protagonista della propria realtà. Ci sono le vite più disparate, e per troppo tempo diradate in una malattia che annerisce gli occhi sino ad accecare, che ritrovano un centro e vincono una battaglia umana di estrema urgenza. Attorno alla coppia Clara-Diego si sviluppa infatti un film corale, che accenna al dolore senza mai cedere al cinismo. C’è ad esempio Sosia – “mi chiamo Armando!” urlerà inaspettatamente – convinto che ognuno di noi sia l’esatta copia di un originale nascosto in Papa Nuova Guinea. Lui cerca se stesso, dunque, come tutto il gruppo. La Papa Nuova Guinea dell’Io è già dentro loro. Ma non possono ancora vedersi, con gli occhi sporchi di nero.
A pulirli, ironicamente, è proprio Marilyn. Che di conseguenza impara ad accettarsi come Clara, e abbandonare le bugie continue. La terapia di gruppo con cui il film comincia, ma che non sembra avere effetti da tempo (“sei qui da tre anni e ancora stai fuori dal cerchio di sedie”, attacca Diego), diventa un esperimento eccentrico e imprevisto. Tutto nasce dall’idea di Clara. Manager improvvisata del Monroe, ristorante fittizio di cui carica finte recensioni sul web. Poi però la magia: centinaia di persone iniziano a scrivere di esserci stati. E che il Monroe è da non perdere. “Siamo una società di matti, più di quelli che stanno ai centri diurni”, ci ha raccontato Simone Godano rivelando che l’idea nasce da un fatto realmente accaduto a Londra, dove un disoccupato ha portato un ristorante inesistente a essere il più ricercato. “Migliaia di persone dicevano di esserci stati, solo per sentirsi parte di qualcosa”.
Ma Marilyn ha gli occhi neri trae solo spunto dalla vicenda. Quando Diego e Clara decidono che il Monroe si può aprire davvero, accolgono una sfida senza precedenti. Quel gruppo al limite di tutto prende in mano la situazione. E impara ad accettarsi.
Miriam Leone e Stefano Accorsi al centro di Marilyn ha gli occhi neri
Miriam Leone e Stefano Accorsi sono una coppia difficile. Trovano l’alchimia nel corso del film, cercando per tutto il tempo di non perdere le briglie di individualità complessissime e del tutto rivolte su loro stesse. Funzionano, e anche bene.
Accorsi costruisce un personaggio sincopato, abbattuto dagli scatti di rabbia che scaglia sul mondo e ripiegato da tic continui e diffusi. A lui le battute pungenti. Ma anche lo struggente rapporto con la figlia. “Sistemerò tutto, te lo prometto”. La maestria della sceneggiatura, e forse la ragione del facile successo che Marilyn ha gli occhi neri può incontrare, è anche qui. In frasi di disperazione e verità comune. Non ascrivibili alla malattia, ma ai momenti della vita.
Di uguale tenore è il rapporto di Clara con una signora del centro anziani. Diego e Clara tengono tra le dita un filo che li lega al mondo esterno. La figlia e la signora sono una speranza, ma quello che le circonda non condivide lo sguardo incantato di una bambina e un’anziana.
A Miriam Leone invece il ruolo limite: tra un dentro a cui giura di non appartenere, dove crede di aiutare matti con cui non ha nulla da spartire, e un fuori, che le concede solo rifiuti. Nel sottilissimo confine della follia addobba la realtà di piccole e grandi bugie. La carriera da attrice, il marito malato. Tutte verità che la negano sino all’oblio. Lei, che crede in tutti ma non si sa vedere.
Marilyn ha gli occhi neri evita il patetismo e strappa un sorriso
Simone Godano cede terreno agli attori. La regia si annulla, dà modo alla sceneggiatura di vivere da sé. Qualche taglio, in verità, avrebbe giovato. I 110 minuti di Marilyn ha gli occhi neri si diluiscono sulla fine, senza per questo togliere l’intensità di una scoperta dolce e intensa costruita nel percorso. Cattura. Anche per il suo aspetto ibrido, in cui si ride (con e mai di) mentre si soffre per lo specchio che questo gruppo offre allo spettatore. Marilyn ha gli occhi neri sarebbe anche una perfetta Sitcom. Vissuta tra la cucina e la sala da pranzo del Monroe. Anche perché, nelle Sitcom, di rado esiste l’esterno. Si gioca tutto all’interno. Dove Godano ha per l’appunto scelto di ambientare la sua storia per proteggerne i protagonisti da un mondo pronto a giudicare. “Loro hanno sempre ragione perché sono di più”. E così loro stanno fuori. Marilyn ha gli occhi neri non si interessa al conflitto. Anche se sarebbe stata la via più facile, il patetismo d’autore. Si gioca invece con il senso di gruppo, la scoperta di sé nell’altro. E soprattutto si ricorda che la vita è un plurale.
A un certo punto, Marilyn ha gli occhi neri sembra fermarsi. Gli eventi trovano un ordine e una sottile patina si aggiunge all’immagine. È solo una parvenza, un attimo. Perché il film è ottimista ma non ingenuo. E infatti decide di chiudersi nel più insospettabile e incolore dei luoghi: un archivio. Ai personaggi al centro il compito di tinteggiare la scena e lasciare allo spettatore la possibilità di apprezzare che, oltre l’ibrido, si tratta pur sempre di una commedia. E va bene sorridere con – mai di – i suoi protagonisti.