Masquerade – Ladri d’amore: recensione del film di Nicolas Bedos
Un gran bel cast, Marine Vatch, Laura Morante, Pierre Niney e tanti altri per Masquerade - Ladri d'amore. Intrighi, amore e cinismo in Costa Azzurra. In sala dal 21 dicembre 2022.
Il titolo della recensione è ingannevole, ma a fin di bene, perché non si può fare a meno di sintetizzare. Con il dovuto rispetto, Nicolas Bedos, non è la tua regia la cosa che si nota per prima in Masquerade – Ladri d’amore, nelle sale italiane dal 21 dicembre 2022 per Lucky Red, proprio no. Prima viene il cast, il bel cast, il ricco cast; mette insieme alcuni dei nomi più importanti del cinema francese contemporaneo, ma non solo. Pierre Niney, Isabelle Adjani, Marine Vatch, François Cluzet, Emmanuel Devos, Charles Berling e la nostra, ma anche un po’ loro, che in Francia ormai è di casa, Laura Morante. La seconda cosa che salta all’occhio è la Costa Azzurra.
La Costa Azzurra, languida, oziosa e in preda alla sindrome dell’estate perenne, tra sogni di gloria, lusso sfrenato e una gran voglia di farcela, costi quel che costi, senza perder troppo tempo a preoccuparsi di trascurabili e secondari dettagli come dignità, decoro e integrità dell’anima. Masquerade – Ladri d’amore è un film nostalgico per toni, atmosfera e impianto narrativo, anche se prova a dire la sua a proposito di un paio di questioni molto attuali. Mescola mistero, lotta di classe, sesso e romanticismo, oltre a sciorinare una lunga serie di colpi di scena.
Masquerade – Ladri d’amore: amori, intrighi e tradimenti in Costa Azzurra
La Costa Azzurra è un posto soleggiato per gente ombrosa.
Somerset Maugham aveva colto, dell’ambiente e della mentalità generale, i tratti essenziali. La citazione, molto puntuale, apre le danze di Masquerade – Ladri d’amore informando lo spettatore che non è il caso di tirare fuori la crema solare. A contare, qui, sono soprattutto le zone d’ombra. Adrien (Pierre Niney) è un ballerino di un certo fascino che, dopo aver abbandonato la professione, decide di spiaggiare la sua vita nell’ozio vagamente corrotto della Costa Azzurra, dilettandosi nell’attività poco edificante ma abbastanza remunerativa di accompagnatore e giovane amante di donne ricche e un po’ in là con gli anni. La sua ultima conquista si chiama Martha.
Martha Duval (Isabelle Adjani) è un’attrice, importante per giunta, con un bell’avvenire dietro le spalle. Il fascino di un tempo è agitato ma non mescolato, d’indole capricciosa ma senza quell’impressione di tragica grandezza e follia stile Norma Desmond. Martha è sopra le righe e molto umana. Si sente sola e perciò abbocca all’amo di Adrien. Non ne nota il cinismo e i poco lusinghieri propositi; lui non la ama, non la amerà mai e se le gira intorno è per i soldi e le frivole comodità. Adrien non ama nessuno, almeno fino al giorno in cui incontra Margot.
Margot (Marine Vatch) è apparentemente il riflesso di Adrien. In realtà, il suo equilibrismo morale è molto più audace. Sconsiderata, arrabbiata, ha le idee chiare, un passato burrascoso e lo stesso patologico rifiuto a impegnarsi sul serio, sentimentalmente parlando. Si incontrano, Margot e Adrien, battendo lo stesso terreno di caccia, allocchi attempati da spremere come se non ci fosse un domani. Quello che non hanno previsto è la scintilla, il primo sussulto di un sentimento nuovo. Forse sincero. Reagiranno all’inattesa scoperta con un’idea insieme vecchia e nuova.
Fregare il prossimo. Adrien è già a buon punto con Martha e decide di presentare a Margot una sua vecchia fiamma, Giulia (Laura Morante). Italiana, gestice un ristorantino a Nizza e ha un bel giro d’informazioni. Giulia propone a Martha e Adrien di studiare con attenzione vita, modi e abitudini di Simon Laurenti (François Cluzet), un ricco imprenditore che, visto da lontano, sembra una delle poche persone con il cuore al posto giusto di tutta la Costa Azzurra. Simon è sposato felicemente e fedelmente con Carole (Emmanuelle Devos), un osso duro per la seduzione furba di Margot. Mai dire mai. Quello che segue non può essere raccontato, è bene che lo spettatore tenga a mente che il confine tra realtà e apparenza è parecchio sottile.
Cosa è reale e cosa non lo è, un tema importante nel cinema di Nicolas Bedos
Non è saggio girare una commedia d’inverno, il freddo non fa ridere, è abbastanza rischioso portare il dramma in pieno sole; Nicolas Bedos, regista e sceneggiatore intelligente, costruisce un thriller estivo composto in parti uguali di dramma e umorismo, malinconia e cinismo. Già con La belle époque (2019) il suo film più conosciuto (e riuscito), aveva ragionato della sottile ambiguità sottesa ai rapporti tra realtà e finzione. Lì però si discuteva di passato e presente, di teatro e teatralità, delle potenzialità e del significato della messa in scena. Anche Masquerade – Ladri d’amore si diverte a centrifugare verità e menzogne per parlare di desiderio, d’amore, del tempo che passa, in maniera meno convincente e più imprecisa.
Intrattenimento di gran classe, eccessivo ma deliberatamente. Quello che all’inizio si impone come un vago accenno al conflitto di classe su un fondo sentimentale, piano piano cambia pelle e diventa altro. Una riflessione arrabbiata e forse un po’ conveniente su femminilità offesa, raggirata e in cerca di riscatto. Non convince fino in fondo. Il contrasto tra la luminosità dell’ambiente e le luci spente delle motivazioni è un’idea interessante anche se non originalissima. Il film resta a metà strada, Nicolas Bedos non si decide: Masquerade – Ladri d’amore è intrattenimento con qualcosa sotto, o solo intrattenimento? La stessa meccanica del thriller, la concatenazione dei colpi di scena, manca di brio. Dovrebbe avvertirsi più emozione.
Naturale che la cosa più interessante del film sia il gusto e la disinvoltura del pregevole cast che, una volta smessi i panni del realismo crudo, trova piacere nell’abbandonarsi alle esagerazioni e ai contorcimenti della trama di Masquerade – Ladri d’amore. Ancor più naturale che siano le donne le più vere e le più convincenti, la storia è dalla loro parte dall’inizio alla fine. Del gruppone Devos-Morante-Adjani-Vatch è quest’ultima a restare impressa nella memoria, a ragion veduta. Il film si serve di lei con sapienza, prima appoggiandosi a un’immagine consolidata di fascino vagamente altezzoso e molto potente, poi le lascia briglia sciolta e la fa vibrare d’emozione, di pathos, di un pizzico di follia. Nell’interpretazione di Marine Vatch c’è un fuoco che al film manca.