Megalopolis: la recensione del mastodontico nuovo film di Francis Ford Coppola
La nostra recensione di Megalopolis, il nuovo e controverso film di Francis Ford Coppola, in anteprima dal Festival di Cannes.
Dopo tredici anni di assenza dal grande schermo, uno dei registi più importanti nella storia del cinema torna a dirigere un film, e lo fa in grande stile. Francis Ford Coppola non è però solamente un regista, è un autore che ha regalato capolavori immortali rivoluzionando il proprio mondo artistico di appartenenza. Eravamo a conoscenza del suo rapporto conflittuale con Hollywood e in generale con il sistema produttivo del mercato cinematografico – accettò di girare Il Padrino solo per avere in seguito i soldi per realizzare qualcosa di più intimo e indipendente -, ma stavolta ha davvero oltrepassato il confine: Megalopolis è un’idea folle messa in scena con altrettanta sfrontatezza, che infatti è praticamente auto prodotta e ha fatto scappare la maggior parte dei produttori e distributori dell’ambiente.
Le ispirazioni dietro Megalopolis
Lavoro colossale che ha richiesto anni di preparazione – lo ha ideato nel 1977 – e di realizzazione, Megalopolis prende ispirazione – a detta dello stesso regista – da più di un’opera di culto, cinematografica e non: c’è indubbiamente l’ombra di Metropolis – l’assonanza nel titolo non è casuale -, del capostipite letterario del genere James Joyce e in generale dell’immaginario storico dell’Antica Roma e da quello di Shakespeare e della tragedia greca. Il film di Francis Ford Coppola, in effetti, propone una fantascienza distopica e futuristica che è indissolubilmente legata all’antichità e agli archetipi più ancestrali dell’essere umano, tramite una regia visionaria e potentissima che gioca vivacemente e vividamente con le immagini producendo la magia del cinema più puro e (in)contaminato.
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Francis il Padrino, il bambino, il sindaco, l’architetto
In una città del futuro devastata da una catastrofe, si muove il Cesare Catilina di Adam Driver, architetto megalomane e visionario, che avvia una specie di congiura contro il sindaco Frank Cicero per realizzare un progetto di ricostruzione e rinascita della metropoli. Il vero architetto deus ex machina del racconto è in realtà proprio il regista del film, Francis Ford Coppola, creatore (auto) dichiaratamente megalomane che si diverte a (ri)costruire un (suo) cinema libero, ironico – la sala Debussy, durante l’anteprima stampa, esplode quando la protagonista afferma “se è un maschio, lo chiamiamo Francis -, sopra le righe – a un certo punto della proiezione le luci in sala si accendono e sale sul palco un attore (?) che interagisce con il protagonista sullo schermo -, visivamente mastodontico e senza tempo.
Megalopolis e l’ossessione del (controllare il) tempo
Il tempo, d’altronde, è il tema fondamentale della pellicola, aleggia costantemente in quanto entità invisibile e incombente, l’intenzione dell’autore sembra quella di mettere in risalto e insieme in ridicolo l’ossessione della società contemporanea di percepirlo in maniera lineare e di volerne avere il controllo. Coppola valorizza e sminuisce anche la propria ossessione, e infatti il film è costruito su una sceneggiatura ambiziosa ma anche farsesca che non si prende mai troppo sul serio; l’unico modo che il regista ha di fermare e controllare il tempo è il cinema, l’amore per il cinema e il sogno utopico che questo atto creativo continua a rappresentare per l’umanità.
Valutazione finale e conclusioni
Megalopolis è tante cose insieme: un film ambizioso e di ampio respiro sul (nostro) tempo e sull’esistenza umana, un esperimento fantascientifico megalomane e complesso, ma allo stesso “tempo” anche una parodia di tutto questo, un’opera piena di guizzi e di intuizioni che è inutile analizzare razionalmente. Che si concordi o meno con Francis, che si avalli la sua posizione – dopo l’anteprima si lascia andare ad un discorso sulla speranza e sul futuro che “lascia” il “tempo” che trova – o che si tenti di comprendere il segreto nascosto dietro la sua architettura, è impossibile non cogliere in questo film l’essenza autentica del cinema. Anche di quello che odiamo, che non vogliamo e che ci fa arrabbiare.
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