Berlinale 2021 – Memory Box: recensione del film di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige
Un viaggio interessante nel mondo analogico.
Nella prima giornata di proiezioni (rigorosamente virtuali) della Berlinale 2021, Memory Box segna l’apertura del festival nel segno del ricordo e delle riflessioni generazionali. La coppia di registi Joana Hadjithomas e Khalil Joreige mette in scena un omaggio all’epoca analogica, un viaggio attraverso la storia della tecnologia audiovisiva che porta con sé riflessioni storiche e personali facilmente identificabili nella quotidianità.
Maia vive in Canada ormai da decenni, essendosi trasferita qui dal Libano insieme alla madre: in questo Paese freddo e molto lontano dalla sua terra d’origine, Maia cresce la figlia adolescente, Alex. Durante la vigilia di Natale, un misterioso pacco viene recapitato a casa e Alex non può sottrarsi alla sensazione di aprirlo, sebbene sia indirizzato alla madre. Dentro il pacco sono racchiusi tutti i ricordi della giovinezza di Maia, tutta la corrispondenza e i cimeli di un tempo, che la donna condivideva con Liza, l’amica di sempre recentemente scomparsa. Alex, che come tutti gli adolescenti contemporanei passa lungo tempo davanti a diversi schermi per registrare e condividere ogni momento, si scontra con un mondo lontano nel tempo e nello spazio, ripercorrendo attraverso gli occhi di due adolescenti come lei tutti gli eventi della guerra civile in Libano negli Anni ’80.
Memory Box dà quindi vita a una conversazione attraverso il tempo tra madre e figlia, ma anche tra Maia adolescente e Maia adulta, interpretate rispettivamente da Manal Issa e Rim Turki, che caratterizzano i due personaggi in modo emotivo e coordinato tra loro, definendo senza dubbio le performance più convincenti di tutto il film.
Memory Box: un omaggio all’epoca analogica
L’idea di Memory Box nasce in realtà dalla biografia della stessa regista, la quale costruí un fitto scambio di lettere e ricordi con una vecchia amica quando quest’ultima si trasferí dal Libano a Parigi: pur avendo perso i contatti nel corso del tempo, incontratesi 25 anni dopo, le due amiche si scambiarono le rispettive scatole dove avevano attentamente conservato tutto quanto di erano inviate. La figlia dei registi, davanti all’opportunità di esplorare l’adolescenza della madre, non era riuscita a tirarsi indietro, esattamente come Alex nel film. L’urgenza della necessità di preservare le tracce dell’invisibile, dell’impatto dei ricordi e delle emozioni sulle nostre vite fa da fil rouge nelle opere della coppia di registi, che esplorano questi aspetti sullo schermo così come nel resto delle loro opere, intrecciando continuamente la storia personale e familiare a quella collettiva, mettendo in risalto le inevitabili ripercussioni.
La rinascita e la ciclicità nel film di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, presentato alla Berlinale 2021
Il finale di Memory Box è un simbolo di rinascita ciclica, un ciclo storico che si ripete per ognuno di noi, lungo cui i ricordi (e i frammenti anche fisici del passato che ci portiamo dietro) fungono da memento di ciò che è stato. In questo senso, il film ostenta molto il rapporto tecnologico tra presente e passato, già a partire dalla videochiamata iniziale si pone l’accento sulla diversa percezione della memoria, arrivando a chiudere il cerchio nel momento in cui le foto del passato prendono vita grazie alle riprese dello smartphone di Alex.
Quello di Memory Box è sicuramente un viaggio interessante attraverso il tempo, l’evoluzione tecnologica e il modo in cui questa si ripercuote sulla nostra percezione degli eventi. La relatività dei racconti storici e personali si esalta in tutte le sue contraddizioni, dando vita, proprio grazie a queste, a una conversazione che unisce livelli diversi tra loro in maniera organica e sottile.