Metro Manila: la recensione del film di Sean Ellis
Metro Manila, il film di Sean Ellis, passa dal dramma al thriller, inserendo amore e bellezza in un racconto fatto di disperazione.
Con Metro Manila Sean Ellis dà alla disperazione i colori accesi della megalopoli, il valore quasi inesistente dei chicchi di riso e quello elevato del sacrificio umano. Regala allo spettatore una storia in cui l’amore cade nella fanghiglia della disonestà, della cattiveria, dell’arroganza, rimanendo però integro e puro in un modo così semplice e duro da far venire i brividi.
Il film britannico-filippino con Jake Macapagal (Oscar), Althea Vega (Mai) e John Arcilla (Ong), presentato al Sundance Film Festival 2013 – dove ha vinto il Premio del Pubblico – e in arrivo nelle sale italiane a partire dal 21 giugno 2017 grazie a Bunker Hill, non porta sicuramente nulla di nuovo sul grande schermo, ma lo fa in modo nuovo, delicato, poetico.
Sean Ellis racconta la storia di Oscar, un contadino costretto ad abbandonare il suo paese insieme alla moglie Mai e ai suoi figli, credendo di trovare una vita migliore nella grande città di Manila. Il viaggio che li conduce nella capitale filippina è scandito da giochi di luce e ombra, percorsi a piedi, viaggi in auto, colpi di sonno, preghiere. Un accumulo di aspettative e sogni che esplode nella visione di strade affollate, luci e colori, uniti da una musica classicheggiante che come un filo di cotone lega i pezzi di un puzzle in cui le sfortune affollano in un unico quadro.
Annaspando nel marasma della megalopoli, la famiglia Ramirez si trova a fronteggiare una serie di soprusi che corrodono ulteriormente la loro instabilità economica portandoli a vivere in una baraccopoli, a incontrare falsi amici e a fare lavori umilianti – Mai si trova costretta a prostituirsi in un bar – e rischiosi. Oscar infatti trova impiego come agente di sicurezza ai blindati di trasporto valori. Un lavoro duro, con una paga irrisoria se paragonata al rischio, ma che risponde ai bisogni della sua famiglia.
Se c’è una cosa che Metro Manila sa far venire a galla splendidamente, attraverso la sofferta e sincera interpretazione di Jake Macapagal, è la bellezza dell’onestà.
Oscar è un uomo semplice, uno che vuole vivere a testa alta, facendo la cosa giusta senza paura di avere meno di chi non lo merita. La sua condizione di povertà non lo porta a trovare la via più semplice per sopravvivere, bensì la via più giusta. Ma pur perseverando in questa direzione il destino si mostra a lui infame ponendogli lungo la strada una serie di ostacoli che lo porteranno al sacrificio estremo.
In Metro Manila si passa gradualmente dal racconto drammatico al thriller, con inserti che ci fanno conoscere il doppio volto di ognuno.
È il caso del collega di Oscar (Ong) che nasconde, dietro la maschera della generosità e dell’amicizia incondizionata, il volto del ricattatore. Sarà grazie a lui che Oscar troverà lavoro e casa; per causa sua che si troverà senza paga e senza speranza.
La regia di Sean Ellis è pulita e meticolosa, funge nel vero senso del termine da terzo occhio, ma un occhio quanto mai umano, fugace, che si sofferma sui dettagli che contano: una stretta di mano, degli occhi truccati, un volto sorridente. Cose piccole e quotidiane ma che nel calderone filmico acquistano senso e importanza anche in relazione alla storia narrata.
Quest’ultima si intreccia alla vicenda di Alfred Santos, l’ex datore di lavoro di Oscar che, portato allo stremo, sceglie di compiere un gesto disperato: salire su un aereo armato di pistola, minacciare i passeggeri in modo da racimolare dei soldi e poi lanciarsi giù dal paracadute e ricominciare una nuova vita.
Ma il piano di Alfred, come ci dice il protagonista, era solo un sogno andato a finire male. Il suo, invece, è un piano vincente e doloroso; un piano che mette da parte il “noi” per favorire il “voi”.
Metro Manila è uno di quei film che ci inducono alla riflessione, che ci fanno estrapolare il vero valore della vita indotta a trascinarsi nei meandri infelici della sopravvivenza.
Un film che parla di ultimi che non riescono a rialzarsi, uomini e donne che non conoscono lieto fine, sconfitti da una società accecata dalla rabbia e dal potere.
Sean Ellis fa dunque, col film Metro Manila, un ottimo lavoro di messa in piega al cinema filippino che, traslitterato attraverso le movenze della regia britannica, riesce a portare a galla quella parte di arte e di mondo che spesso il grande schermo tende a occultare.