Venezia 75 – Mi ameranno quando sarò morto (They’ll love me when i’m dead): recensione
Mi ameranno quando sarò morto ci dà l'occasione preziosa e rara di carpire l'animo del regista. che ha saputo cambiare il cinema.
Mi ameranno quando sarò morto (They’ll love me when i’m dead) è un documentario, presentato durante la 75ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, diretto da Morgan Neville e incentrato sugli ultimi quindici anni di carriera di Orson Welles e sull’ultimo film incompiuto del regista, The Other Side of the Wind.
Il documentario di Morgan Neville, creato per essere distribuito su Netflix, è arricchito, oltre che da interviste e fotografie celebri, da immagini e registrazioni di conversazioni di Welles con attori e giornalisti, filmati d’archivio, dietro le quinte di alcuni suoi film e scene celeberrime tratte dai suoi capolavori. Mi ameranno quando sarò morto in primis tenta di traslarci nella complessa psicologia del regista, una leggenda che nel 1970 stava vivendo un vero e proprio esilio da Hollywood. Quando Orson Welles iniziò a girare The Other Side of the Wind, con la collaborazione di Oja Kodar, Peter Bogdanovich, John Huston, Norman Foster, Susan Strasberg, Joseph McBride, il regista non era più considerato come il genio che aveva scritto, diretto e interpretato Citizen Kane.
Ciò che allontanava produttori, dirigenti e collaboratori erano i lunghi periodi di gestazione per riuscire a realizzare le sue pellicole, soprattutto le ultime, che sono rimaste incompiute, quali It’s All True, Don Quixote e The Other Side of the Wind, che però è stato finalmente modificato e completato e presentato durante la 75ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia grazie all’amico Peter Bogdanovich.
Mi ameranno quando sarò morto: un quadro frenetico sugli ultimi 15 anni della carriera di Orson Welles
Mi ameranno quando sarò morto dipinge un quadro frenetico e agonizzante circa gli ultimi quindi anni di carriera del Maestro, una storia provocatoria sul tentativo caotico e smisurato di portare a termine il suo ultimo film, una produzione altalenante e febbrile, determinata da cinque anni di riprese, altrettanti anni di problemi tecnici, economici e legali che hanno perpetuato l’elaborazione del film per quindici anni, fino alla prematura scomparsa di Orson Welles nel 1985.
Basandosi su filmati tratti dal film stesso, interviste e clip di repertorio, all’interno del documentario si possono gustare anche interviste ad amici, familiari e colleghi del regista come Peter Bogdanovich, Frank Marshall, Oja Kodar e Beatrice Welles. Il titolo del documentario fa riferimento ad una dichiarazione ironica del regista in cui affermava che l’industria cinematografica, che lo aveva rigettato per anni, lo avrebbe apprezzato e ne avrebbe cantato le lodi una volta che se ne fosse andato per sempre.
Ma Mi ameranno quando sarò morto ci porta nella dura e travagliata realizzazione di una pellicola, ovvero l’8½ di Welles: The Other Side of the Wind. Un film che reinventa il concetto di cinema, che traccia la storia di un regista che tenta di sopravvivere, un’opera ibrida e muscolare sul rapporto tra attore e regista, una riflessione sul mestiere dell’artista.
Tutto questo e molto altro è abilmente filmato dal regista Neville, che ha scelto di rapportare lo spettatore con una trama tortuosa, con uno stile frenetico e disadorno, che parla tanto del regista e delle sue opere quanto del suo ultimo film e di quanto Welles ne cambiasse la struttura ancora e ancora, lasciando che la sua evoluzione non si fermasse, con tagli e aggiunte al montaggio e ombreggiature nella narrazione.
Il documentario di Morgan Neville è un’occasione unica di poter cogliere aspetti desueti e bizzarri del regista, che non adorava farsi riprendere mentre rideva, che ha saputo cambiare la storia del cinema enormemente, che è stato subissato e obliato da Hollywood ma che ancora oggi, a distanza di trent’anni dalla sua scomparsa, ci ricorda quanto artificio, ipocrisia e mestizia abita chi ha profanato in vita i suoi lavori e che adesso non può far a meno di ammirare.