Berlinale 2019 – Mid90s: recensione del film di Jonah Hill
Durante la Berlinale 2019, Jonah Hill ha presentato il suo film di debutto come regista, Mid90s, e il risultato è più che buono.
Jonah Hill è nato e cresciuto in California. Il suo anno è il 1983: negli anni ’90 ha vissuto la sua infanzia, la sua formazione. Ecco perché non sorprende in nessun modo che il suo primo film come regista, Mid90s, sia un tale inno alla decade del grunge e di Tupac, di Kids e Stand by me. Presentato nella sezione Panorama durante la 69° edizione del festival del cinema di Berlino è pregno di nostalgia e di voglia di crescere. Ed è proprio un bel film.
Mid90s racconta la storia di Stevie (Sunny Suljic), un ragazzino di Los Angeles che soffre del rapporto violento col fratello (Lucas Hedges) e dell’atteggiamento della madre (Katherine Waterston) nei confronti degli uomini. Incontra e rimane incantato da un gruppo di skater che incarnano il mood californiano e che lo accettano nel loro gruppo. Stevie è pronto a tutto per dimostrare di essere degno della loro compagnia. Ha bisogno di trovare la sua dimensione e un gruppo di persone che possa considerare una famiglia.
Mid90s è un romanzo di formazione dalle tinte nostalgiche
Il film è un’altra classica storia di formazione. La crescita è un ingrediente fondamentale, insieme al bisogno di accettazione. Al contempo, però, è un’opera speciale e personalissima. Suljic, che aveva già fornito un’ottima performance in Il sacrificio del Cervo Sacro, diventa Stevie e vive con la giusta intensità ogni momento, ogni dolore e ogni gioia. È genuino e intensissimo, nonostante la giovane età. A sostenerlo c’è un luminoso Lucas Hedges che si sta imponendo come nuovo volto da conoscere per forza, con una performance brillante dopo l’altra e Mid90s non interrompe questo percorso.
Hill intanto sfrutta al meglio il suo essere prima di tutto attore – carriera che definisce “frutto di una fortunata occasione” – e dedica la sua regia ai performer. Non è una regia di ambientazioni, bensì di primi piani e di sguardi. I suoi attori sono ripresi da ogni angolazione e ne vengono mostrati i difetti, le imperfezioni e le stranezze, in tutto il loro essere adolescenti.
Infatti, sono adolescenti degli anni novanta, cresciuti nel rifiuto delle loro emozioni, sospesi in una mascolinità che Hill stesso definisce tossica e dannosa. Questo si vede con chiarezza nelle discussioni, nei mugugni e negli sguardi di disapprovazione verso la debolezza. Si vede, anche e soprattutto, nella violenza che caratterizza tanto profondamente il personaggio di Stevie. Il ragazzo lotta col fratello in maniera folle, non teme il dolore e, anzi, arriva a infliggersi delle punizioni corporali quando è davvero arrabbiato sfogando su se stesso la frustrazione verso il mondo esterno.
Mid90s: ottimo debutto alla regia per Jonah Hill
D’altro canto, sebbene Mid90s sia un film di debutto eccellente e di enorme qualità, non è esente da critiche e considerazioni negative. Il neo più prominente, infatti, è forse la poca caratterizzazione dei personaggi. La loro storia è accennata, data per scontata in maniera grossolana. Ogni filone narrativo viene iniziato e mai portato a termine come se in fondo dovremmo accontentarci. Ma così non può essere. Hill soffre di quella che sembra solo inesperienza e dimostra di avere la stoffa per continuare a sedersi dall’altro lato della cinepresa.
Nell’ambiente del cinema indie Mid90s era atteso come la neve a Natale. Già dalle prime immagini il film sembrava inserirsi nella lista privilegiata dei cult indipendenti e, forse, non è riuscito pienamente a fare avverare il sogno. Forse rimane solo un film molto, molto bello che rivedrete volentieri all’infinito nelle domeniche pomeriggio per il resto delle vostre vite.