Midsommar – Il villaggio dei dannati: recensione del film di Ari Aster

Ari Aster torna dopo Hereditary - Le radici del male con Midsommar - Il villaggio dei dannati, un horror folcloristico che diventa un rituale delirante.

La bellezza dei giovani autori si vede nella loro ricerca di coerenza. Individuare il proprio stile per poi imporlo e portalo avanti richiede sempre un’attenta analisi sulle proprie intenzioni poetiche e una ben un’accurata visione sulle scelte formali da intraprendere, su cui poter poi incidere la propria firma. Ancor più quando è all’interno del genere che i suddetti cineasti intendono navigare, in quei connotati già pre-impostati che attendono soltanto di essere sovvertiti e, con lo spettatore, sopraffatti.

È perciò incredibilmente unica la continuità di sguardo e di pensiero di Ari Aster, che dopo un esordio infuocato come quello di Hereditary – Le radici del male, impone nuovamente il proprio marchio autoriale, in linea con i dettami di un cinema che il regista e sceneggiatore americano ha deciso di rendere ancora più grande. Dalle soffocanti pareti della casa della famiglia Graham in Hereditary, il cineasta passa alle rigogliose vedute di una Svezia campestre con la sua opera seconda Midsommar – Il villaggio dei dannati, un fil rouge apparentemente invisibile, ma aggrovigliato dal tocco vanesio eppure trascinante di Aster, che nel ripercorrere le medesime perversioni le rimescola in un racconto e in un’atmosfera totalmente nuovi.

Ari Aster firma un horror percettivo, tra allucinazioni e viaggi delirantiMidsommar - Il villaggio dei dannati, cinematographe

E, ancora una volta, è la base narrativa del dramma quella su cui andare a porre le aberrazioni del proprio horror, su cui l’autore edifica il proprio studio antropologico, arricchendo di folclore un film che ha fondamenta piantate fin dal principio e su cui la sovrastruttura orrorifica può svilupparsi senza temere cedimenti. Se in Hereditary l’evento tragico scatenante era la perdita innaturale della propria figlia, con a seguito un processo di elaborazione del lutto su cui poi si andava ampliando il retroscena satanico/religioso, in Midsommar è l’instabilità relazionare di una coppia in crisi a intercettare l’interesse di Ari Aster, aggiungendo la morte impensabile della famiglia della ragazza e l’incontro con un solido gruppo identificatosi come comunità.

È nell’immersione nel paesino svedese che Midsommar comincia a stuzzicare le sensazioni dei protagonisti e dei suoi spettatori. L’incontro con la collettività locale si estende con la comprensione diluita e imprescindibile delle tradizioni, dei simboli e delle credenze, che rendono quelle rune su pietra e quelle figure su legno vere e proprie pratiche di vita. L’osservazione di quelle usanze, la messa in atto del loro potenziale, diventano per il film l’estensione di un disagio che avanza insinuante, reso confuso dall’assunzione di sostanze alteranti, che estendono l’allucinazione dei personaggi fino a renderla stato stupefacente dell’intera pellicola.

I vaneggiamenti delle droghe, prese con coscienza o ingerite per sottostare allo svolgimento delle cerimonie, dilagano all’interno della pellicola aumentando le facoltà dei ricettori sensoriali, facendo di un horror come Midsommar una pura esperienza percettiva, che rende la manipolazione della realtà tanto diegetica quanto visiva. Spirale in cui non viene abbandonata la crudezza di cui sappiamo capace il regista, che ripropone la violenza nella sua patina più asettica, restituita con tanto distacco da risultare altresì intollerabile e ipnotizzante.

Midsommar – Il villaggio dei dannati: quando il film si trasforma in ritualeMidsommar - Il villaggio dei dannati, cinematographe

Nella distorsione delle funzioni religiose della società svedese, nel malessere sancito dall’insano clima di adorazione naturalistica, declinata a un misticismo squilibrato e inebriante, Il villaggio dei dannati tramuta gradualmente il suo statuto di film per reinventarsi come rituale di cui si entra a far parte in prima persona. La fisionomia del rito rende superflua tutta una comunicazione verbale, che in maniera progressiva va svanendo verso la fine dell’opera, per dare massima concentrazione all’entrata nel vivo del culto.

In un vortice di luce accecante, sostenuta dalla colonna sonora splendida, cristallina, volutamente innocente pur nel suo potere evocativo – scritta dal musicista e producer The Haxan Cloak -, il viaggio in cui Ari Aster ci direziona è l’esaltazione di un delirio che non smette per un secondo di affascinare, sottoponendo lo spettatore alla liturgia della natura e immobilizzandolo per lo stupore davanti al suo dissennato circolo vitale.

Midsommar – Il villaggio dei dannati, prodotto da Patrick Andersson e Lars Knudsen, è il sala dal 25 luglio, distribuito da Eagle Pictures.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5