Berlinale 2020 – Minamata: recensione del film con Johnny Depp

Minamata è un film autentico di cui colpisce la regia ambiziosa e la fotografia suggestiva e penetrante.

Johnny Depp è particolarmente giramondo in questo periodo. Dopo la partecipazione all’ultima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film Waiting for the Barbarians è stato presente alla 70° edizione del Festival di Berlino, che lo ha accolto nella seconda giornata per la presentazione in anteprima del film Minamata, diretto da Andrew Levitas, un dramma ispirato a fatti realmente accaduti nei primi anni ’70 in Giappone.

In Minamata Depp interpreta William Eugene Smith, il famoso fotografo documentarista americano che ha lavorato per molti anni con la rivista LIFE. Dopo essere rimasto ferito durante la Seconda guerra mondiale a causa di una granata, è tornato in Asia nel 1971 per realizzare uno dei suoi migliori reportage che ha lasciato il segno. Nel piccolo villaggio di Minamata egli ha catturato la devastazione e la sofferenza causata da un avvelenamento da mercurio della popolazione per una grave negligenza della società giapponese Chisso, del governo stesso e persino della Yakuza. Tra il 1932 e il 1968, una grande industria locale ha scaricato una ingente quantità di rifiuti illegali nelle acque reflue e questo ha causato un’epidemia passata alla storia come la “malattia di Minamata”. Il film di Levitas si preoccupa di mostrare da una parte gli scioccanti effetti della malattia e dall’altra gli sforzi eroici degli abitanti della zona per combattere i responsabili.

Johnny Depp è il fotografo William Eugene Smith in Minamata

minamata cinematographe.it

Eugene è un uomo difficile, attaccato alla bottiglia e testardo, ma ha un talento unico per immortalare sulla pellicola immagini potenti che hanno una storia da raccontare. Lo sa bene Bill Nighy nei panni del Direttore di LIFE Robert Hayes, che deve gestire i suoi capricci e il suo modo di fare fuori dagli schemi. Depp, invecchiato e truccato per assomigliare all’originale, è abbastanza credibile e a suo agio nei panni di una sorta di Erin Brockovich al maschile. Trattando di fotografia, Minamata è un film quasi impeccabile dal punto di vista estetico con le inquadrature spesso travolte da toni di colore quasi fluorescenti, dal blu al rosso e al verde, in contrasto con le foto del professionista, rigorosamente in bianco e nero.

“Ci sono ancora decine di migliaia di vittime che lottano per essere ascoltate a Minamata, ma ci sono milioni di persone in tutto il mondo che non vengono ascoltate, e penso che questo film, ovviamente, riguardasse la realizzazione di un bellissimo pezzo di il cinema e l’impegno come artista, ma riguardava anche la creazione di qualcosa di cui tutti potessero sentirsi parte” ha dichiarato il regista in conferenza stampa.

Minamata sembra preoccuparsi più di apparire che di essere, anche se…

I fotogrammi inseriti all’interno della sceneggiatura per ricercare l’empatia con il pubblico riescono a veicolare il messaggio che Levitas aveva intenzione di sottolineare, ma il film manca di ritmo e si preoccupa troppo della confezione senza approfondire il contenuto in modo esauriente. Le fotografie di Smith raccontano una cruda realtà, propongono di “guardare il presente negli occhi” come afferma Depp nei panni del protagonista. Ma nel complesso la struttura narrativa di Minamata mostra diversi punti deboli che incidono sul coinvolgimento dello spettatore che, nonostante la drammatica vicenda di denuncia e i fatti interessanti da conoscere, perde il contatto con i personaggi e con la storia già dalla prima metà del film. Un film che mira alla consapevolezza, ma non usa bene tutti gli strumenti necessari per restare impresso nella mente.

Tuttavia se si pensa che è stato girato in soli 36 giorni con un budget limitato, Minamata è un film autentico di cui colpisce la regia ambiziosa e la fotografia suggestiva e penetrante.