Mistero a Saint-Tropez: recensione della commedia francese con Gérard Depardieu
La commedia con Gérard Depardieu, nonostante vanti un’ambientazione perfettamente riuscita, non convince, a causa di gag troppe prevedibili e personaggi privi di spessore.
Dal 30 giugno 2022 nelle sale cinematografiche italiane Mistero a Saint-Tropez, commedia poliziesca francese diretta da Nicolas Benamou e con protagonisti Benoît Poelvoorde e Christian Clavier. Nel cast anche Gérard Depardieu in un ruolo marginale ma efficace.
Sia il titolo dell’opera che l’ambientazione sono un chiaro omaggio alla serie di film degli anni Sessanta realizzati da Jean Girault, I gendarmi di Saint-Tropez.
Nonostante sia un mistero a dare il via all’azione, la pellicola è a tutti gli effetti una slapstick comedy, ossia punta a divertire il pubblico attraverso gag piuttosto semplici, frequenti e prevedibili.
Mistero a Saint-Tropez: di cosa parla Trama del film con Gérard Depardieu
1970, Saint-Tropez. L’ispettore Jean Bottà (Christian Clavier), senza fiuto né talento per risolvere crimini, viene chiamato ad indagare sotto copertura sul tentato omicidio del miliardario Claude Tranchant (Benoît Poelvoorde). Convinto che l’obiettivo dell’aggressore fosse in realtà sua moglie Eliane (Virginie Hocq), Tranchant ha fatto risalire il caso fino ai piani alti dello Stato ma solo Bottà era ancora disponibile: un omuncolo dall’aria ridicola che tutto sembra fuorché un agente.
Il miliardario è solito riunire ogni estate nella sua villa a Saint-Tropez la crème de la crème dello showbiz. Tra attrici, cuochi, registi e falsi amici, tutti gli invitati sono possibili indiziati con un plausibile movente. Riuscirà l’ispettore, attraverso i suoi goffi metodi e ragionamenti privi di logica, a risolvere il caso?
Un omaggio al cinema di una volta privo di coraggio e ingegno
Mistero a Saint-Tropez si apre in modo piuttosto efficace, con una sigla animata in stile anni Sessanta sui toni della celebre serie di film La Pantera Rosa con protagonisti David Niven e Peter Sellers nei panni dell’indimenticabile ispettore Clouseau.
La prima scena è ricca di tensione e accende la curiosità dello spettatore, con la macchina da presa che segue un losco individuo in tuta da sub – outfit che richiama quello del celebre personaggio dei fumetti Diabolik – mentre si aggira nella residenza Tranchant pronto a commettere un efferato crimine.
Sfortunatamente, le similitudini con il cult di Blake Edwards e con il ladro ideato da Angela e Luciana Giussani, finiscono qui. Le gag dell’opera sono infatti prevedibili ed eccessivamente ripetitive.
Se in un primo momento questo tipo di comicità può suscitare ilarità nel pubblico, a lungo andare il rischio di stancare ed innervosire lo spettatore è piuttosto elevato. L’ispettore Bottà trascorre il suo tempo all’interno della residenza inciampando continuamente, provocando danni, compromettendo le indagini e proponendo un’imitazione grottesca del Clouseau di Sellers, ma lontana anni luce dalla genialità di scrittura del celebre personaggio.
L’idea di un goffo ispettore di polizia e di un cinico miliardario dall’inconsapevole verve comica che si trovano, loro malgrado, a collaborare per risolvere un crimine, era piuttosto fresca e briosa, con tutte le carte in regola per far divertire e – perché no – dare il via ad una nuova saga di film. Ma la sceneggiatura di Mistero a Saint-Tropez è così povera e i dialoghi talmente insignificanti da rendere la visione davvero faticosa. Inoltre, il crimine che sta alla base dell’intera vicenda – seppur non così scontato – non è abbastanza accattivante da risollevare l’attenzione.
Solo l’interpretazione di Gérard Depardieu è in grado di alzare il livello dell’opera, nei panni di Maurice Lefranc, capo di Bottà, un uomo che sa fare bene il suo lavoro ma è circondato da incompetenti che mettono a dura prova la sua pazienza.
Vedere o non vedere Mistero a Saint-Tropez?
Scegliendo di ambientare Mistero a Saint-Tropez nei lontani anni Settanta, Nicolas Benamou – anche sceneggiatore del film – si prende alcune libertà decisamente politicamente scorrette e scelte narrative discutibili. Ad esempio, le scene in cui il cagnolino di Tranchant viene ripetutamente preso a calci o malmenato da chiunque incontri sul suo cammino, erano davvero necessarie? Perché al giorno d’oggi ancora si ritiene che la violenza sugli animali sia motivo di divertimento?
L’aspetto positivo dell’opera risiede tutto nell’ambientazione, che vi farà immergere per un’ora e mezza in un’epoca fatta di lussuose automobili, vestiti pazzeschi e scenari da favola. Inoltre, come osservato in precedenza, il film è – in alcuni momenti – un riuscito omaggio al cinema di quell’epoca, con una deliziosa sigla animata e una colonna sonora ispirata agli anni Settanta.
Sfortunatamente, limitarsi ad emulare i codici del cinema comico – e non avere la creatività necessaria per portarli avanti – non è garanzia di successo.