Venezia 79 – Monica: recensione del film di Andrea Pallaoro
La recensione di Monica, film di Andrea Pallaoro con Trace Lysette e Patricia Clarkson presentato a Venezia 79.
Monica è un film del 2022, scritto e diretto da Andrea Pallaoro (Medeas, Hannah), per cui questa produzione rappresenta la terza prova come regista di un lungometraggio. L’opera è stata selezionata per la 79° edizione della Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, dove è stata presentata come parte del concorso ufficiale.
Prodotto da Varient Entertainment, Solo Five Production e Melograno Films – con la collaborazione di Rai Cinema e Alacran Pictures – il film può contare su di un cast internazionale capitanato da attori del calibro di Emily Browning (Sucker Punch, Legend), Patricia Clarkson (Il miglio verde, Shutter Island), Trace Lysette (Transparent, Le ragazze di Wall Street) e Joshua Close (Fargo, L’esorcismo di Emily Rose). La distribuzione italiana è nella mani di I Wonder Pictures, che ha presentato il film a Venezia annunciandone l’arrivo prossimo nei cinema, senza però una data di uscita ufficiale.
Monica: la storia di una donna
La storia narrata da Monica si concentra sull’omonima protagonista (interpretata da Trace Lysette): una donna trans che, dopo essere stata a lungo distante dalla sua famiglia, viene contattata dalla moglie di suo fratello (Emily Browning). La protagonista sceglie di sfruttare questa occasione per riallacciare i rapporti con i parenti e, in particolare, si adopera per ricostruire la relazione con la madre (Patricia Clarkson).
Quest’ultima è però gravemente malata e, non vedendola da prima della transizione, non la riconosce. Monica si trova quindi a dovere scegliere se rivelare o meno la propria identità alla genitrice e il fatto che l’anziana si mostri fin da subito cordiale non facilita la decisione: i suoi sentimenti potrebbero cambiare se venisse a conoscenza della verità.
Una bellissima storia normale
Monica racconta una storia priva di momenti particolarmente drammatici, caratterizzata da una profonda adesione al realismo. La struttura narrativa che la racchiude è altrettanto semplice: la vicenda è divisa in due parti, una prima dedicata unicamente alla protagonista e una seconda che si sofferma maggiormente sull’evoluzione del rapporto con la madre.
Al contrario, la messa in scena è estremamente ricercata. È tramite di essa che l’autore si propone di esporre la bellezza contenuta nei suoi personaggi. In particolare, costruisce una regia pittorica, attenta all’uso della luce e alla composizione dell’inquadratura. La scelta di limitare al minimo i movimenti di macchina e l’ampio utilizzo dei primi piani portano poi la pellicola ad assumere una forma che ricorda quella di una galleria d’arte, in cui i pezzi di maggiore prestigio sono i ritratti dei personaggi.
Dalla ricerca relativa alla pittura dipende probabilmente anche la scelta di utilizzare il formato 4:3, inusuale al cinema ma piuttosto simili a quelli che siamo soliti associare ai dipinti. In alcune sequenze, tramite l’utilizzo di ampi coni d’ombra, la scena viene addirittura racchiusa in forme più strette, utili a mettere in risalto i dettagli dei visi e i piccoli movimenti.
Molta attenzione è stata riposta anche nella definizione del comparto sonoro, che è stata curata da Mirko Perri (Veloce come il vento, Freaks Out). Composta quasi unicamente da suoni diegetici, la colonna sonora alterna ampi momenti di silenzio a parti in cui la musica è proposta a volume alto. In entrambi i casi, è funzionale a far risaltare il soggetto inquadrato.
Un bell’esperimento imperfetto
Nonostante la natura affascinante dell’operazione estetica messa in piedi da Pallaoro, il film tende a perdere di mordente con il passare dei minuti. In particolare, nella seconda parte si ha l’impressione che la pellicola abbia esaurito tutto il suo potenziale artistico e finisca per ripetersi. Il tentativo di porre l’attenzione su altri spunti, secondari rispetto a quello relativo alle relazione tra madre e figlia, rende la narrazione di Monica eccessivamente dispersiva e contribuisce a rendere eccessivo il minutaggio complessivo.
La produzione si può quindi considerare un esperimento riuscito solo in parte, ma estremamente ricco di potenziale e degno di encomio per il tentativo di sperimentazione messo in atto. La bellezza della sua messa in scena, unita con la sua particolarità, è motivo sufficiente per augurarsi che il grande pubblico abbia la possibilità di vederlo sul grande schermo.