Mortal Kombat (2021): recensione del reboot prodotto da James Wan
Il 30 maggio 2021, su Sky cinema uno arriva in prima assoluta Mortal Kombat, il film ispirato alla celebre saga di videogame.
A ben 26 anni di distanza dal primo live action di Mortal Kombat, i celebri combattenti del videogame picchiaduro creato da Ed Boon e John Tobias tornano in un reboot prodotto da James Wan. Il videogioco, famoso per la violenza e la brutalità delle mosse mortali, le celebri fatality, ha spopolato fin dal suo esordio e ancora oggi continua ad appassionare i gamer. Nel 1995 il film diretto da Paul W. S. Anderson (Resident Evil) incassò tantissimo, ma non viene ricordato come un’operazione riuscita fino in fondo. Oggi Warner Bros, che ha acquisito i diritti del videogame nel 2011, prova a rilanciare la saga con un film costato solo 55 milioni di dollari (un budget che segnala il tentativo di riaccendere l’interesse per il crossover cinematografico), e che sembra a tutti gli effetti un prequel.
Mortal Kombat: la trama del film
Il regno dell’Outworld ha sconfitto 9 volte su dieci l’Earthrealm (la Terra) nel violentissimo torneo Mortal Kombat. Se l’Outworld dovesse vincere anche il decimo, allora le regole stabiliscono che conquisterà il pianeta Terra. C’è però un’antica profezia, che afferma che il “sangue di Hanzo Hasashi” unirà una nuova generazione di campioni del Earthrealm per impedire la vittoria del Outworld. Prima che il torneo si apra ufficialmente, l’arcistregone dell’Outworld, Shang Tsung, raduna i suoi miglior combattenti per mettere fuori gioco la fazione opposta, capeggiata da Lord Raiden, Antico Dio e Protettore di Earthrealm.
Il reboot di Mortal Kombat sa di prequel
Il film diretto dal regista australiano Simon McQuoid (qui al suo esordio con un lungometraggio) si apre con un lungo prologo che introduce la faida tra Scorpion e Sub-Zero. Un incipit interessante che però resta fine a se stesso. In generale sembra che questo reboot sia stato concepito come una sorta di termometro per se capire l’apprezzamento del pubblico sarà tale da permettere al franchise Mortal Kombat di avere longevità. I personaggi più celebri tra cui Sonya Blade, Goro, Kano, Kung Lao, Mileena, Raiden vengono introdotti in modo superficiale e in poco meno di due ore si assiste solo ad un susseguirsi di combattimenti troppo condensati. Inoltre vengono inseriti nel racconto anche dei nuovi personaggi e considerando anche il finale del film, si apre ancor di più la strada verso l’idea che questo film sia stato concepito come un test. La parte action, com’è giusto che sia, divora la parte di narrazione che dovrebbe contribuire a ricreare le atmosfere care al videogioco.
Una buona dose di violenza, ma manca l’epicità del racconto
Le fatality sono ovviamente presenti ma potrebbero essere ancor più incisive, inscenando quella violenza gore che tanto ha reso celebre il videogame. Il reboot di Mortal Kombat, la cui sceneggiatura è stata scritta dallo sceneggiatore esordiente Greg Russo e da David Callaham (Wonder Woman 1984) manca di epicità e di visione globale. Venendo meno l’approfondimento dei personaggi, scartando da questo discorso Scorpion e la new entry Cole, unici personaggi sul cui passato ci si sofferma maggiormente, si avverte la necessità una visione più ampia per creare immedesimazione e attaccamento alla storia. Di certo, rispetto al film del 1995, la fedeltà di costumi e make-up, oltre agli effetti speciali, rende il ponte con il videogioco saldo e facile da attraversare, come anche il cast sembra all’altezza dei personaggi in vita da quasi 30 anni. Basteranno questi elementi a riaccendere la scintilla del franchise? L’inizio è deludente, ma se la prospettiva è quella di approfondire le storie dei personaggi e creare più empatia, allora l’attenzione per questa saga proveniente dai videogiochi potrebbe crescere.