TFF35 – Morto Stalin, se ne fa un altro: recensione
Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin) è l'irriverente, tragicomico, sboccato film di Armando Iannucci; un'opera che ha sete di potere e di risate.
Non è mai semplice gestire la morte di un capo di Stato, e il compito può risultare ancor più difficile se tale personaggio era un potente, autoritario tiranno. Alla fine però tutto va pian piano sistemandosi, con ogni piccolo pezzettino che ordinatamente va a riportare ordine all’interno del puzzle. In fondo si sa, Morto Stalin, se ne fa un altro. Ma nessuno sarebbe riuscito a racchiudere insieme drammaticità storica e sboccata irriverenza come ha dimostrato egregiamente di saper fare il regista e sceneggiatore Armando Iannucci. Alle prese con una satira feroce, stilisticamente curata, il comico cineasta scozzese coordina un manipolo di serpi in seno nate nel passato e rimaneggiate dall’intelligente ingegno dei realizzatori del soggetto – e della sua trasposizione in romanzo grafico – Fabien Nury e Thierry Robin, andando a girare una tagliente pellicola che sorprende per il suo parallelo binomio di arguzia e sconvolgente – poiché avvenuta – realtà storica.
È il giorno 2 marzo dell’anno 1953, il leader Joseph Stalin lascia questo mondo e la sua nazione a causa di un improvviso e incurabile male. Pronti a onorarlo, compiangerlo, criticarlo e sostituirlo, i membri del Comitato ufficiale si avvicendano per fare in modo che l’Unione Sovietica non cada nello sconforto e nella disorganizzazione più totale, ma ancor di più tentano in qualunque maniera, con qualsiasi stratagemma, di far ricadere il vacante potere nelle proprie avide, affilate mani. Un gioco al massacro interno che vedrà soltanto uno diventare il prossimo capo del partito. Una morte, quella di Stalin, che metterà in moto i successivi danni nell’Unione Sovietica.
Morto Stalin, se ne farà un altro – Il coraggio di essere cattivi con il dramma
Sciacalli attirati dal profumo di potere che, con tragicomiche trovate, tentano di avvelenarsi a vicenda per raccogliere la loro opportunità di supremazia nell’irriverente, ridicolo, a tratti esilarante film Morto Stalin, se ne fa un altro, una rivisitazione paradossale sugli eventi presentati nel corso della storia contemporanea, resi brillanti dall’irrispettosamente travolgente humor che propone con irrisorio atteggiamento la successione della linea ideologica dopo la dipartita di Stalin.
Immersi in un momento quanto mai volatile per la fiducia e per le promesse di alleanza che puntualmente sembrano venir tradite o rettificate, i personaggi della divertente opera, ognuno introdotto dopo una solenne e appropriata presentazione, vengono perfettamente interpretati da un coeso cast di attori il quale senza alcun timore stabilisce il tono sguaiato di una pellicola che non lascia intrappolata l’occasione per piazzare una battuta, meglio ancora se nel contesto risulti alquanto inappropriata. Perché l’arguzia del film di Armando Iannucci risiede nel coraggio di trattare strazianti avvenimenti da tempo confermati avvalendosi di una cattiveria sottile, abile nel pungere come saprebbe fare una freccia appuntita e instaurando una farsa che trae il proprio giovamento dal suo assoluto menefreghismo nei riguardi del buon gusto.
Morto Stalin, se ne fa un altro – Il sadismo necessario per la satira
L’irragionevolezza degli operati più crudeli perpetrati da Stalin vengono riportati con riflettuta comicità in Morto Stalin, se ne fa un altro, attraverso anche spiritose gag ben coreografate che rendono nel suo complesso il film di Iannucci un prodotto assai preciso nella visualizzazione della messinscena. Un lavoro veramente incentrato sulla cura per il dettaglio, a cui viene attribuita un’importanza predominante. Con la consueta fotografia utilizzata per illuminare con uno stampo classico per i momenti storici attorno all’Unione Sovietica e gestita per l’occasione da Zac Nicholson, la pellicola pone a terra le maschere dei suoi rappresentanti per permettere al film di manifestarne le cospirazioni e l’insoddisfazione di una linea di partito che muore assieme al suo massimo esponente, ma ancor di più per nutrirsi della beffarda ironia che fatalmente li lega gli uni agli altri.
Morto Stalin, se ne fa un altro è l’indiscrezione usata dalla narrazione per strappare, non facilmente come sembra, la risata; la sboccataggine di un linguaggio comico irresistibile nella sua totale mancanza di sensibilità. Un sadismo dunque che si rivela intrinseco nella sete di potere e nella riuscita di ottimi, licenziosi film.