Venezia 74 – My Generation: recensione del documentario con Michael Caine
My Generation è il manifesto degli Anni Sessanta, quegli anni di mutamento in cui Michael Caine si trovò coinvolto in prima persona.
Quando la giovane classe operaia inglese ha iniziato a farsi sentire, non c’è stato più scampo per nessuno. Travolti dalle mille nuove ondate culturali, dalla moda della minigonna all’aperta dichiarazione di uso di LSD, gli adulti infagottati ancora stretti alle rigide regole dell’establishment sono stati spodestati dall’arrivo frenetico e vorace di ragazzi e ragazze pronti a conquistare prima Londra, poi l’America, poi il mondo.
My Generation del regista David Batty è il manifesto chiaro e limpido degli Anni Sessanta, tempo di cambiamento per un’Inghilterra boriosa pronta a lasciare dietro di sé le regole della buona educazione per immergersi nel flusso di un tumultuoso spodestamento giovanile.
My Generation – Sir Michael Caine ci racconta i suoi anni nel film di David Batty
A dare voce a quegli anni di mutamento è un Michael Caine coinvolto in prima persona in quella rivoluzione dei costumi che segnò il dirottamento dalle ferree impostazioni della disciplina britannica, i ricordi dell’attore che si integrano perfettamente alla metamorfosi sociale che smuoveva i destini di giovani di periferia, i quali per la prima volta si vedevano spalancate le porte per compiere un salto nel vuoto fatto di successo, feste e divertimento. Accompagnando quindi il documentario con dati storici, ma soprattutto aneddoti, considerazioni e memorie, Sir Michael Caine offre una sua intima cartolina di quegli anni di infinita spensieratezza, integrati dalla partecipazione di altre icone del tempo che aiutano l’autore David Batty a completare un quadro generale degli anni Sessanta.
Jaon Collins, Paul McCartney, Twiggy, Roger Daltrey a altri arricchiscono le testimonianze di My Generation, che ovviamente non poteva essere introdotto se non dalle intramontabili e sfrenate note dell’omonima canzone dei The Who; racconti di vita goduta a piene mani grazie alla voglia di rinnovamento culturale, ma ancor di più bisognosi di slegarsi finalmente dalla mentalità di quei genitori impettiti e da quei quadrati Anni Cinquanta, troppo noiosi per l’aria che aveva cominciato a tirare. E così ci addentriamo nella Swinging London, nell’arte pop che ha trasformato il volto di Londra, toccando tutte le sfere dalla musica al teatro, dal cinema alla moda fino alla fotografia, inquadrando lo sviluppo di stili, di gusti e tendenze che hanno portato al suo apice la capitale inglese.
My Generation – Bye bye ceto di appartenenza, benvenuta opportunità!
Fornitori di cultura galoppanti libera creatività, i volti che il regista Batty fa scorrere sul grande schermo sono tutti pezzi di storia che hanno permesso a tanti giovani di credere fermamente nei loro sogni, di elevarsi al di sopra delle possibilità che i sobborghi avevano da offrire, consci del fatto di essere stati baciati dalla fortuna e quindi pronti a spianare la strada a tanti futuri artisti, originali e stravaganti. Consapevoli quindi di non dover necessariamente seguire le orme degli impettiti padri, uomini e donne nel fiore dell’età si riversano su Londra, ragazzi con i capelli lunghi e ragazze con gonne corte, trovando il modo di esprimere sé stessi e la loro diversità.
Addio ceti di provenienza, al via barconi in mezzo al mare che suonano musica rock e inneggiava all’amore, My Generation dialoga con il passato, con i Beatles e i Rolling Stones, con modelle e stiliste, parrucchieri e fotografi, in un alternarsi di immagini di repertorio ben congeniali ai brani inseriti che fanno venire voglia di cantare, di ballare, di tornare indietro nel passato per condividere con Mary Quant e David Bailey una serata, un’idea, uno spinello. Un documentario dall’estrema semplicità che inquadra senza eccessive trovate gli Anni Sessanta, dividendosi in tre atti e distendendosi con linearità nella durata di esposizione.
Per la prima volta nella storia, i giovani della classe operaia lottavano per se stessi e dicevano: siamo qui, questa società è anche nostra e non vogliamo andarcene!.