FEFF 2021 – My missing Valentine: recensione del film di Chen Yu-hsun
Un San Valentino svanito nel nulla, sospeso in un personale blackout mnemonico oppure semplicemente ciclico momento universale. Il taiwanese My missing Valentine evoca con speranza e levità, la frammentarietà del ricordo e delle dimenticanze, e del nostro incostante rapporto con lo scorrere del tempo. In concorso al Far East Fest 2021.
Manipolare lo scorrere del tempo e plasmarlo secondo la propria volontà è prerogativa sia dell’arte fotografico-pittorica che prettamente cinematografica. L’occhio umano filtrato dalla macchina riesce infatti a liberare la cronologia dal suo costante correre avanti e immortalare attimi di secondo per congelarli eternamente nell’immagine. Di istantanee e settima arte nella volontà riflessiva della transitorietà del tempo si serve My missing Valentine, l’ultima opera del regista e autore di Taipei Chen Yu-hsun, in concorso alla ventitreesima edizione del Far East Festival (dal 24 giugno al 2 luglio in presenza e on-line), e già vincitore di cinque Golden Horse Awards lo scorso anno.
San Valentino mai (?) vissuto
Due artifici utilizzati per teletrasportare lo spettatore in un gap temporale di ventiquattro ore, sparito e sospeso nella memoria paralizzata dalla scattante protagonista Yang Hsiao-chi (Patty Pei-Yu Lee), addormentatasi la notte di sabato 13 febbraio e risvegliatasi abbronzata e con la sabbia nelle scarpe il lunedì successivo del 15. In quell’inframezzo cronologico mai accaduto, si frappone un contraltare romantico che invece della memoria ne ha fatto tesoro, un autista programmato alla lentezza e segretamente legato sentimentalmente alla stessa sin dai tempi dell’infanzia.
My missing Valentine: cronologie ‘fuori tempo’
I due diventando allora soggetti opposti e complementari di un film che ragiona (muovendosi), con le dimenticanze, le assenze e i ricordi, e le loro direzioni personali nei riguardi del tempo; dello scorrere inesorabile delle lancette e nella predisposizione naturale di Yang Hsiao-chi e A Tai (Kuan-Ting Liu, A Sun) all’esserne in perpetuo ‘fuori’: la prima eternamente in anticipo tanto da non riuscire a catturare una fotografia del suo volto in cui non abbia gli occhi chiusi, l’altro, sempre aritmico, rallentato dal costante essere in ritardo, e costretto perciò alla routine forzata.
Quell’interstizio fondamentale di domenica 14 febbraio e del suo accaduto, nel film del taiwanese diviene unica possibilità d’incontro fra due entità fuori tempo, racchiudendo nell’illusione del frangente romantico passato su una spiaggia, il blackout fortemente romanzesco ed esistenziale di una storia d’amore dilatata e persa nei meandri della memoria tra risvolti imprevedibili della quotidianità.
“Amate sempre voi stessi, perché lì fuori qualcuno vi ama”
Piuttosto che sul canonico loop temporale allora, My missing Valentine pone abilmente l’accento sul momento svanito nel nulla, biforcando drammaturgicamente il racconto in due parti e tre atti, attraverso la poetica amalgama tra commedia, surrealismo, dramma e parentesi musicali, rievocando da lontano Il Favoloso Mondo di Amélie nel piglio fiabesco e onirico posto sul quotidiano, filtrato nello sguardo di due soggettività amabili e deliziosamente sconfitte.
Così facendo, Chen Yu-hsun fa della levità suggestiva dell’essere pura transitorietà sulla terra, la spinta comica e commovente di un racconto sentimentale sul valore della felicità, e della speranzosa possibilità, anzi certezza da slogan, che qualcuno lì fuori è pronto ad amarci solo se lo facciamo prima noi; senza l’affanno di veicolare il messaggio inevitabilmente, come di certo un occidentale si sarebbe affrettato a fare, così lontano dalla pacata dilatazione dei tempi (narrativi e abitudinari) del cinema del levante.