Napoli Velata: recensione del film di Ferzan Ozpetek

Un grumo di misteri e sguardi fugaci che attraversano e lasciano attraversare l'essenza di una città particolare e antica. Napoli Velata è un intrigo di sensazioni e una gioco di estetismi

Tanti volti convergono in Napoli Velata come tasselli di un mosaico d’altri tempi, rievocato per magia in una città eterna e misteriosa.
L’ultimo film di Ferzan Ozpetek è una lunga passeggiata sul fondo dei desideri e delle paure, tra le viscere del “non detto” e i cunicoli della follia; un’opera che viene inaugurata dallo stile thriller di hitchcockiana memoria nel quale confluisce lo strascico dei gialli all’italiana anni ’70 per poi proseguire sulla strada della sensualità e della passionalità, unendo la vita all’arte teatrale, in un perenne gioco di sguardi celati e ricambiati che ha in seno lo spirito del voyeurismo basico, confezionato a dovere nell’incantesimo dello sguardo altrui capace di spogliare e indagare, andando oltre le apparenze o fermandosi alla loro soglia.

Non è facile decifrare Napoli Velata poiché di molti generi ne è l’essenza, motivo per cui forse la soluzione è vederla per ciò che riesce meglio a donare: una rappresentazione meramente estetica di una città che si lascia attraversare, attraversando chi la vive; una miscellanea di persone ricollegabili a maschere e numeri della smorfia napoletana.

Napoli Velata: un grumo di mistero e bellezza estetica che implode nella mente femminile

In questo suo nuovo film il regista italo-turco applica una sorta di cambio di rotta già iniziato col precedente Rosso Istanbul, omettendo dettagli prima lasciati alla luce del sole, che adesso persistono ma sotto la cenere di una brace cangiante. A essere messa in primo piano è la Napoli borghese, quella del commercio e delle credenze pagane; la Napoli acculturata e barocca.

Una scalinata e un omicidio aprono le porte a questo nuovo micromondo creato da Ozpetek, intercalati da una colonna sonora che già da subito trasuda la sua promiscua entità: un effluvio di violini e flauti che esplode in un colpo di pistola per poi immergerci nella visione della figliata – rappresentazione partenopea del parto maschile – occultata da un velo, perché la verità è troppo difficile da sopportare. Questa frase pronunciata in scena è un memorandum ricorrente in tutto il film, in cui la finzione che andrà a imporsi psicologicamente la protagonista sarà poi la chiave per raggiungere la verità.

Napoli Velata: quando la verità è troppo densa occorre annacquarla con la fantasia

Tutto il film si ingarbuglia attorno alla vita di Adriana (Giovanna Mezzogiorno), medico legale rimasta orfana in tenera età, ma non per questo senza punti di riferimento. La zia Adele (Anna Bonaiuto) e pochi amici, come il saggio Pasquale (Beppe Barra) o l’ironica Catena (Luisa Ranieri) rappresentano la sua famiglia. A loro si unirà fugacemente la presenza di Andrea (Alessandro Borghi), un ragazzo più giovane di lei col quale finisce a letto dopo una serie di sguardi provocatori. Il rapporto amoroso portato in scena in Napoli Velata è estremamente carico di nudità, sensualità ed erotismo: una liberazione carnale senza libidine alcuna che segna il ritratto liberatorio di una donna indipendente eppure vincolata alla magia dell’amore non vissuto, nella sfera di vetro del “se…”.

Ci è impossibile narrare ciò che avviene dopo ma giudicare certo si può! Questo thriller sensuale è una giostra di bellezze artistiche e umane. Il regista gioca a farci vedere e intravedere gli scorci di Napoli, dal chiostro del Museo di San Martino alla Farmacia degli Incurabili fino all’arcinoto Cristo Velato, in un sibilare di luci e ombre che sanno mettere in mostra le intarsiature marmoree e i parallelismi con la vita reale, ma anche richiamare alla mente certe opere di grandi artisti. Una fotografia scandita e peculiare, fatta di colori vivaci e sfumature marcate, differente in ogni attimo come tutte le anime che compongono la città di Pulcinella eppure sempre onesta e spettrale. Un po’ come accade nel film più celebre di Sorrentino, anche in Napoli Velata si ha un’immersione totalmente estetica nella città che però spesso ci sfugge fino a farci smarrire del tutto.

La carnalità e la passione sono al centro del thriller di Ferzan Ozpetek, interamente proiettato in una Napoli che fa da madre, amante e figlia

napoli velata recensione cinematographe

Le sue vie rassicuranti divengono d’un tratto tunnel di disperazione nei quali la storia vira gradualmente e scandalosamente per condurci nei territori incerti e inesplorati della mente umana. Così questa Napoli (che, badate bene, è “femmina”) convoglia tutte le sue caratteristiche nella protagonista; è lei a essere velata e sono i nostri sensi a perdere improvvisamente la bussola.

Che tutti questi veli e i repentini cambi di rotta siano il tallone d’Achille di Napoli Velata? Può darsi, ma resta il fatto che il film di Ozpetek ha dalla sua tanti altri pregi e percorsi nascosti che solo chi sa guardare riesce a scorgere.
Un plauso va senz’altro al cast e ai personaggi, tutti di taglio prettamente ozpetekiano e tutti perlopiù permeati di sensibilità materna e femminile, come un luccichio che alberga indistintamente nell’animo di uomini e donne.

Per concludere, se amate l’arte, la magia, il mistero e il cinema di Ferzan Ozpetek – che sa ancora essere autore della settima arte con la A maiuscola – non vedere questo film, in uscita nelle sale italiane sale dal 28 dicembre con Warner Bros., sarebbe un sortilegio.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4