Nella tana dei lupi 2 – Pantera: recensione del film di Christian Gudegast

Squadra che vince non si cambia. Il ritorno della coppia Butler/O’Shea Jackson, diretto ancora una volta da Christian Gudegast, supera sé stessa. Meno tensivo, eppure ambizioso, spettacolare e dinamico. In sala dal 6 marzo

“Può una tigre cambiare le sue strisce?”. A distanza di sette anni dal precedente incontro – l’ottimo Nella tana dei lupi, scritto e diretto da Christian Gudegast -, tornano a porsi il medesimo interrogativo, il tanto temibile, quanto politicamente scorretto Nicholas “Big Nick” O’Brien di Gerard Butler e con lui il geniale rapinatore irrintracciabile Donnnie Wilson, interpretato ancora una volta da O’Shea Jackson Jr. Se è vero che tra le intuizioni narrative e linguistiche probabilmente più interessanti e riuscite di quel primo capitolo, c’era la volontà di Gudegast di accennare ad un certo cinema firmato Michael Mann, coinvolgendo gli spettatori in una caccia al topo di inaspettata sagacia, è soltanto in questo secondo capitolo che Gudegast rivolge un doveroso e definitivo inchino, oltreché sguardo approfondito all’autore di veri e propri cult quali Heat – La sfida e Collateral.
Per questo, Nella tana dei lupi 2 – Pantera, in sala da giovedì 6 marzo 2025, distribuito da Lucky Red, riesce nell’impresa, smarcandosi sapientemente dal capitolo precedente ed esplorando nuove vie, pur sempre battute da quei corpi lividi, farseschi e inevitabilmente segnati dal tempo di Gerard Butler e O’Shea Jackson Jr.

La caccia è un amore fraterno

Nella tana dei lupi 2 – Pantera recensione cinematographe.it

Non soltanto la caccia del temuto poliziotto – forse deviato? Oppure mai così ligio al distintivo e al dovere? – Nicholas “Big Nick” O’Brien non si è arenata, ma si è perfino estesa, oltre i confini americani e al di là dell’oceano. Donnie Wilson si è nascosto in Francia e intende rapinare il World Diamond Center di Nizza, forte di una nuova squadra dai tratti internazionali. Quale miglior occasione per un nuovo incontro?

Eppure la complicità tra poliziotto e criminale, lo sappiamo bene, Michael Mann ancora meglio – torniamo all’incontro al tavolo, tra il tenente Vincent Hanna di Al Pacino e il criminale ormai leggendario e malinconico Neil McCauley di Robert De Niro in Heat -, non può mai esaurirsi al termine del primo scontro, né tantomeno della prima fuga, necessitando di nuova linfa, fiamma e spirito vitale. Dunque una vera e propria relazione – d’altronde sembra valga il medesimo discorso per il tennis, come detto da Guadagnino con il recente successo passato inosservato, almeno in termini di premi Challengers -, che scherza con il destino e con la morte, tra mafia internazionale e locale, tornando sempre là, alla potenziale amicizia e al “se”, che resta tale, nonostante l’alchimia, il divertimento e l’adrenalina.

Il cambio di passo rispetto al precedente capitolo è evidente fin da subito. Nella tana dei lupi 2 – Pantera non ha più alcun interesse nel mantenere la tensione costante per tutto il corso della sua durata – il minutaggio d’altronde non è conciso, 2h e 25 circa -, preferendo una distensione di tono, che è tanto stilistica, quanto emotiva, in attesa di una deflagrazione prossima a venire. Ancora una volta, la deflagrazione non coincide con il sensazionalismo di un certo cinema muscolare hollywoodiano firmato Michael Bay – primo tra tutti, ma potremmo citarne numerosi altri -, preferendogli una vena malinconica, intimista e fortemente suggestiva, tipica di un franchise consapevole delle proprie potenzialità, il cui interesse principale risiede nella crescita graduale dei suoi protagonisti, degli istinti e inevitabilmente dei legami che intercorrono tra questi e il pubblico.

Basti pensare alle strade – tanto spirituali, quanto concrete – di Big Nick e Donnie Wilson, che si separano più volte, per poi tornare ad incrociarsi e separarsi ancora, riflettendo smaccatamente su una dinamica che non è più appartenente al buddy movie, piuttosto al cinema familiare. Due fratelli che si amano e consapevoli d’appartenere a due fazioni antagoniste, coesistono negli spazi, per quanto distanti, per quanto vicini, rincorrendosi instancabilmente, giocando dunque a fare i complici, per poi rispettare nuovamente le distanze, poiché i codici morali gridano la loro presenza e guai a non rispettarli.

Nella tana dei lupi 2 – Pantera: valutazione e conclusione

Meno muscolare, eppure visivamente spettacolare e ambizioso in termini di sconfinamento territoriale e linguistico – l’inseguimento d’auto conclusivo non teme alcun confronto rispetto a quanto visto negli ultimi James Bond con (e forse di?) Daniel Craig -, Nella tana dei lupi 2 – Pantera intrattiene e conquista, tra ironia pulp e pop, pur sempre strizzando l’occhio al noir di Michael Mann e ad un action elegante, qui sotto steroidi, che appare e scompare, suggerito e fantasmatico.

Gudegast ha tra le mani uno dei franchise potenzialmente più interessanti, sagaci e complessi degli ultimi anni, il cui punto di forza risiede tanto nella consapevolezza dei limiti da non valicare, quanto dell’alchimia machista e fraterna tra Butler e O’Shea Jackson Jr. da non mutare per alcuna ragione al mondo. Il gioco a due funziona e cresce sempre più. D’altronde, squadra che vince non si cambia. Non resta che attendere il prossimo capitolo, qui tra sette o otto anni. Sarà tardi? Butler dice no, Gudegast conferma. Noi gli crediamo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4