Nessuno si salva da solo: recensione
Nessuno si Salva da Solo sembra una di quelle storie già viste e riadattate mille volte, di un amore finito e allo stesso tempo nostalgico, raccontato in un presente pieno di rancori, dove i figli della coppia sono gli spettatori, loro malgrado.
Gaetano (Riccardo Scamarcio) e Dalia (Jasmine Trinca) sono una coppia ormai scoppiata; si trovano in un ristorante per decidere il da farsi su come gestire i loro bambini, ancora piccoli, per portarli in vacanza.
Il ristorante diventa il luogo partecipe della loro storia d’amore, raccontata da entrambi i protagonisti con continui flashback, ed espressa con durezza da Delia, con pseudo-leggiadria da Gaetano, ma nostalgia e rancori da entrambe le parti.
Quello che ne viene fuori è la storia di un amore giovane, turbolento e passionale, vissuto da Delia con serietà (in parti eccessiva) e da Gaetano con leggerezza, come fosse e sia, sesso per l’uno, amore per l’altra.
Nessuno si Salva da Solo vede alla regia Sergio Castellitto, che per la terza volta (dopo Non ti Muovere e Venuto al Mondo), pone la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo della moglie, Margaret Mazzantini.
La regia è funzionale ed espressiva (anche troppo, quasi, nelle scene di passione), riesce a captare quei fatti avvenuti a Delia, a Gaetano ed ai bambini, che non vengono lasciati alla comunicazione non verbale; ma per quanto pulita e di chiara visualizzazione di scontro personale e sociale (Gaetano arriva da una famiglia cinefila, con un padre sindacalista, mentre Dalia da una famiglia borghese, attenta all’alimentazione, con un passato da bulimica), tutto appare come sfocato, non vi è originalità nel proporre una situazione già vista.
Così come la sceneggiatura, curata dalla Mazzantini, che pecca un po’ nella violenza verbale ai limiti dell’estremo e che aiuta a far cadere la vicenda ulteriormente nel banale.
È chiaro che appassionandosi alla storia, queste “formalità” vengono quasi meno, ma se si sta bene attenti allo scontro che avviene tra i protagonisti, nonostante un finale che fa ben sperare, entrambi non sembrano comunque schiodarsi dalle loro convinzioni, nonostante quell’amore che, volente o nolente, ancora li avvolge.
Jasmine Trinca se la cava molto bene nell’interpretare l’algida ma piena d’amore Dalia, trovandosi abilmente a suo agio nel rappresentarne consapevolezze, paure ed emozioni, mentre Riccardo Scamarcio, nonostante sia maturato dai tempi mocciani, rimane troppo costruito e nei panni di un personaggio già visto ma solo modificato nelle sfumature, come uno Step meno rigido, più spensierato e menefreghista, ma che non convince nei panni di marito e di padre.