TFF37 – Now is everything: recensione del film con Anthony Hopkins

Now is everything è il film sperimentale di Valentina De Amicis e Riccardo Spinotti che cerca la suggestione e lo shock.

In Italia ci lamentiamo sempre perché non riusciamo mai a creare qualcosa di originale. È l’avvento del ritorno al genere il nostro ultimo traguardo, che ci ha permesso di rinvigorire un po’ gli animi di produttori, artisti e cinefili, che hanno intravisto la speranza dietro a opere di ottima qualità e ne hanno potenziato tutta la creatività possibile. Ci sono però, ovviamente, altre zone ancora da esplorare, territori misconosciuti agli autori della nuova generazione, che condizionati da una ben più pregnante storia del cinema e dalla conoscenza ampliata di registi e cineasti provenienti da ogni parte del mondo, sentono di potersi approcciare all’esplorazione intentata ed emulativa della filmografia che più li aggrada.

È quello che sembra succedere nell’opera prima di Valentina De Amicis e Riccardo Spinotti con Anthony Hopkins, Madeline Brewer (The Handmaid’s Tale), Melora Walters, Mickey Sumner, Irakli Kvirikadze nel cast, il debutto Now is everything che esagera a dismisura il letterario significato del proprio titolo, erompendo in un lungometraggio dove gli autori vorrebbero che ogni cosa fosse possibile, ma non riuscendo a farla minimamente franca. Scegliendo il confine che va dal sogno all’incubo e dall’incubo al sogno, ponendosi come striscia di passaggio dove la vita reale va mescolandosi con universi sensoriali e paralleli, l’opera prima del duo di registi si vota a una dimensione che esiste e non esiste, che è immaginifica e non è immaginifica, che vuole aprire uno spiraglio sensoriale nella bolla tediosa della normalità, ma crea piuttosto una voragine che risucchia ogni senso del decoro cinematografico in un fagocitante buco nero.

Now is everything – Un’eccentricità affannosa e falsataNow is everything, cinematographe

Tutto a partire dalla trama. Anzi, dalla non trama, che inizia con una domanda e finisce con mille dubbi da parte dello spettatore. Non quelli intrigati e spirituali, né misteriosi e aperti alle mille opportunità che si potrebbero pensare. Now is everything destruttura il racconto per farsi pezzo d’arte, cinema d’essai impegnato nella propria sperimentazione, ma ben lontano dal risultato sperato che lo vorrebbe come film mistico, rivoluzionario, eterno e sospeso nel tempo. La vera collocazione della pellicola di De Amicis e Spinotti è quella dell’avanguardia che è già passata, dell’empirismo percettivo che può però cogliere solo l’affannosa rincorsa all’eccentricità.

È nei lunghi ringraziamenti finali che si colgono i riferimenti di tanto cinema veramente unico, veramente stravagante, ma che si è fatto negli anni tale non per l’imitazione smodata di qualcosa che si vuole necessariamente rendere intangibile e intellegibile, ma per l’autenticità fissata aldilà del creare lo shock ad effetto e, per questo, ben più veritiera di un’accozzaglia di omaggi e percezioni colte altrove e cercate di rendere proprie. Lo stabilirsi di un’atmosfera che avrebbe potuto perfettamente funzionare se non scopiazzata da operazioni che avevano l’illusione, il terrore e la follia nel sangue, ciò che già è difficile raggiungere nell’essenza e che si fa ancor più artificioso in Now is everything.

Now is everything – Se questo è “‘l’ora”, meglio aspettare il domaniNow is everything, cinematographe

E non importa più se la regia segue un proprio stile molto contemporaneo, se i tagli che ne conseguono sono organici alla (non) narrazione del film, se la fotografia – del papà Dante Spinotti – esalta il marcio dietro alla patina superficiale della pellicola. L’animo indipendente del film dei due autori – ideatori del soggetto, della sceneggiatura e del montaggio – manifesta tutto il proprio ego, tanto da non permette a quei sedimenti, racimolati in anni di studio e conoscenza del cinema, di germogliare con personalità distinta e idee individuali, mostrandosi più come esperimento che opera compiuta, più bisognoso di impressionare che lasciar coinvolgere.

Così nell’opera di Valentina De Amicis e Riccardo Spinotti quell’“ora” è rimandato a domani, in un futuro in cui c’è da sperare nella ricerca e nel ritrovamento di una propria personalità per i due giovani cineasti.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1
Emozione - 1

1.4