TFF41 – Nuclear Now – recensione del documentario di Oliver Stone
In questo documentario Oliver Stone descrive le potenzialità dell'energia nucleare.
Nuclear Now, distribuito da I WonderPictures e in onda mercoledì 6 dicembre 2023 su La7, è un documentario diretto da Oliver Stone, che affronta la questione dell’utilizzo dell’energia nucleare come fonte alternativa rispetto agli idrocarburi fossili.
Si tratta di una visione esplicita, quella del regista. Ripercorrendo la storia dell’energia nucleare, dalla scoperta delle radiazioni di Marie Curie fino ai più moderni sviluppi dei reattori modulari nucleari (SMR), passando per Hiroshima e il primo sottomarino atomico, Stone espone la tesi per cui l’energia nucleare sarebbe una forma di energia pulita e sicura, in grado di soppiantare sia quelle derivate dagli idrocarburi, sia quelle più ecosostenibili, ma inadeguate a gestire il reale fabbisogno globale, come l’eolica e la solare. Insomma Stone vede nell’energia nucleare la risposta alla crisi climatica generata dall’inquinamento. Così il documentario procede a smontate una serie di false affermazioni sui pericoli del nucleare, presenta una sorta di autocritica dell’autore stesso, impegnato in passato in campagne antinucleare e decanta le meraviglie della smart economy che si dedica all’ampliamento del settore.
Nuclear Now. Un documentario assertivo
Nuclear Now non è certo un documentario critico che tende a restituire una visione complessa della realtà. Piuttosto procede in maniera assertiva, trattando questioni spinose come lo smaltimento delle scorie radioattive e i danni derivati dagli incidenti degli impianti di Chernobyl e Fukushima con una superficialità abbastanza naif. La forma stessa dell’opera si adegua agli intenti propagandistici dell’autore. Stone mette insieme immagini cinematografiche con estratti più televisivi. Usa un linguaggio filmico accattivante, fatto di fotografia patinata da pubblicità aziendale e un montaggio ritmato che trasporta lo spettatore da un fatto a un altro, con una consequenzialità che non lascia spazio a dubbi. Per trovare conferma alla propria tesi il regista mette tutto insieme: filmati di repertorio di proteste degli anni settanta e serie televisive come I Simpson e Chernobyl della HBO, intente, secondo l’autore, a restituire una visione pessimistica e non veritiera degli eventi legati all’utilizzo dell’energia atomica. Non esiste visione laterale. Tutto è diretto e assolutistico. Le animazioni e i grafici, oltre che le interviste a scienziati ed esperti del calibro del professor Aslomov, coinvolto nelle riparazioni seguite al disastro di Chernobyl, servono a fornire un’aura di scientificità a quello che è in realtà il discorso parziale di un uomo convinto, quasi fideisticamente, di una tesi ben precisa. Tesi che, però, quandanche ragionevole è certamente relativa, come tutte le tesi su questioni così complesse, che mettono in campo interessi economici e geopolitici non indifferenti.
Una critica contraddittoria
Se il film funziona nel momento in cui smonta alcuni luoghi comuni storici, attraverso un uso ponderato di immagini di repertorio, narrazione e interviste a esperti, risulta molto meno credibile ogni volta che l’autore si lancia in tirate utopistico-moralistiche. La parzialità spacciata per oggettività non è militanza, ma semplice fanatismo. E infatti le contraddizioni emergono impietose. Da un lato Stone critica i media che usano la paura per “vendere” le fonti energetiche fossili alle masse – critica sicuramente legittima – ma dall’altro egli stesso spinge l’acceleratore sui timori apocalittici legati alla crisi climatica, per “vendere” al suo pubblico l’alternativa nucleare. Nelle immagini patinate, nei primi piani autocompiaciuti del regista mentre dialoga amabilmente con scienziati, tiktoker e imprenditori, inoltre, fa capolino tutto il narcisismo estetico sottostante una visione che si vuole autorappresentare come buona e giusta, in maniera definitiva: Stone finisce per far parte dello stesso meccanismo propagandistico di quel sistema economico che egli costantemente critica. Parla giustamente delle storture del capitalismo, che attraverso i combustibili fossili condannano i paesi del Terzo Mondo alla povertà, ma sembra non rendersi conto che, comunque, gli stessi meccanismi economici cui sottostanno i sostenitori dei carburanti fossili, verosimilmente si devono traslare a quelle imprese, che gestiscono e gestiranno il nucleare come fonte energetica, di cui egli canta le lodi.
Nuclear Now. Valutazione e conclusioni
A suggello di questo contraddittorio approccio moralistico portato avanti dal regista in Nuclear Now, è interessante considerare come uno dei pezzi più riusciti del lavoro di Stone sia quello dove si palesano i rapporti fra una delle prime associazioni ambientaliste degli anni settanta, intente a contrastare il nucleare e una delle più grandi multinazionali americane del petrolio, la Arco. Peccato però che il lavoro di Stone si faccia anch’esso portatore (in maniera più limitata e innocua forse) di un simile conflitto d’interessi, in quanto vede fra i suoi produttori esecutivi l’italiano Stefano Buono, fondatore e CEO di Newcleo, azienda impegnata nello sviluppo di reattori nucleari di quarta generazione.