Bif&st 2020 – Nuclear: recensione del film di Catherine Linstrum
In anteprima nazionale il dramma inglese criptico e angosciante scritto dalla regista in collaborazione con David-John Newman
Una violenza brutale perpetrata ai danni di una madre da parte di un figlio violento. Una ragazzina che riesce a salvare la madre dalla brutalità del fratello e fuggire lontano insieme a lei. È lo scioccante prologo di Nuclear, presentato in concorso al Bif&st – Bari International Film Festival, diretto da Catherine Linstrum e interpretato da Emilia Jones, Sienna Guillory, Oliver Coopersmith e George MacKay (protagonista di 1917 di Sam Mendes).
La giovane Emma, che ha subito anche lei in passato le violenze del fratello, scappa con la madre ferita in un posto isolato immerso nella natura sterminata ma sul quale si staglia in lontananza un’inquietante centrale nucleare. Le due trovano rifugio in una casa abbandonata prima di capire cosa fare del loro futuro. Mentre la madre dolorante e ferita ancora più profondamente nell’animo dorme tutto il tempo, Emma stringe amicizia con un simpatico ragazzo che gira il mondo arrampicandosi sui posti più alti e pericolosi e con lui riesce a lasciarsi per un po’ alle spalle le sue paure e angosce. La centrale nucleare, così impietosa con l’alone di morte che custodisce in sé, sembra attirare Emma che ne sembra quasi affascinata. “È una metafora della brutalità che si erge nel bel mezzo della bellezza di un paesaggio magnifico – la centrale abbandonata esiste davvero in Galles dove il film è stato girato – quindi l’ambientazione ha giocato un ruolo fondamentale nel film”, ha spiegato la regista, sceneggiatrice insieme a David-John Newman, al pubblico del Bif&st.
Nuclear – L’allegoria di un dramma familiare
Un ritmo estenuante, atmosfere inutilmente evocative per raccontare un dramma profondo e indicibile. Un alone di mistero avvolge tutta la durata del film fino alla risoluzione che avviene tramite due plot twist in parte prevedibili. La regista si concentra sul dolore lasciando poco spazio alle motivazioni e alle cause irreversibili che hanno portato a gesti così inconsulti. “Non volevamo raccontare questa storia dal punto di vista sociale ma usando l’allegoria”, hanno, infatti, chiarito i due sceneggiatori del film. Questo, però, porta a una poca immedesimazione nelle protagoniste, due donne ferite dalla vita irrimediabilmente, che vediamo tormentarsi per tutto il film incapaci di avere la lucidità per trovare una soluzione concreta. Come in un incubo dal quale non riescono a svegliarsi e nel quale i movimenti sono lenti come in assenza di gravità, madre e figlia sono incapaci di reagire, continuano a vivere in un inquietante limbo, come in una sospensione momentanea della vita. Infatti la madre ha la visione ricorrente di una donna asiatica che la osserva, le parla cripticamente, la chiama a sé, mentre Emma percepisce che il ritorno del fratello è vicino e rimane pietrificata, rifiutando anche l’aiuto del padre lontano.
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Nuclear – La storia tra una madre e una figlia
Un riconoscimento, però, va alla bravura delle due attrici protagoniste Sienna Guillory e Emilia Jones e in particolare a quest’ultima, la ragazzina sulla quale interpretazione intensa e tormentata il film si sorregge. “Mi risulta complicato parlare delle protagoniste come dei personaggi perché sono diventate delle persone talmente vere che mi sembra di aver già conosciuto e che conosco – ha spiegato la regista – di fatto è una storia tra una madre e una figlia, la storia del loro rapporto che è anche un rapporto di separazione attraverso il quale la madre consente alla figlia di diventare una donna”.