Oh Mio Dio! – recensione del film di Giorgio Amato
Giorgio Amato irrompe nelle sale cinematografiche dal 26 marzo 2018, con l'urgenza di raccontare, di mostrare al pubblico il suo punto di vista sulla strada che stiamo intraprendendo. Oh Mio Dio! è un film ironico che non manca di riflessioni e sfumature horror.
Il figlio dell’Uomo è tornato perché il regno dei Cieli è vicino, ma sembra che nessuno lo abbia capito. Il regista Giorgio Amato torna dietro la macchina da presa per dirigere il suo quarto film, Oh Mio Dio!. Da ateo, presenta lo scenario della Parusia a Roma, città popolata da molti cristiani, ma quanti credono davvero?
Quella che doveva essere una commedia diventa una riflessione sulla società, perché al di là del credo mette in evidenza la contraddizione che ci caratterizza: quella di dichiararci in un modo ed essere l’opposto. Perché dei valori del cristianesimo non abbiamo più niente, non sappiamo accogliere, rispettare e spesso neanche ascoltare.
Gesù gira per la Città Eterna portando la sua parola e lo fa stavolta documentando tutto con una webcam: questo è l’incipit del mockumentary di Amato, che unisce la finzione alla realtà, perché alcune scene sono state girate con persone all’ignaro di tutto.
Oh Mio Dio! – il mockumentary di Giorgio Amato per riflettere su chi siamo
Una provocazione alla sensibilità del pubblico che è portato a chiedersi davvero quali siano i pilastri di questa società che ha perso le coordinate etiche della religione, ma anche della politica.
Nessuno è pronto a credere che quello possa essere davvero il figlio di Dio e nessuno è pronto a dargli da mangiare o un posto dove dormire. La nuova venuta segue lo stesso percorso di 2000 anni fa, con la ricerca degli apostoli, la presenza di Maria e della Maddalena, i miracoli e la predicazione, con la differenza che il tutto viene contestualizzate e adeguato al nostro presente.
In particolare viene usata la macchina da presa per intervistare le persone intorno al Messia: ognuno racconta il personale incontro e soprattutto le proprie perplessità. Si tratta davvero di Gesù? Seguirlo, lasciando ogni cosa, ripaga?
Oh Mio Dio! è un’intuizione geniale secondo diversi punti di vista!
Questa retrospettiva è, sulla carta, l’intuizione geniale di Oh mio Dio!: utilizzando nuovi punti di vista si garantisce verosimiglianza con il nostro contesto socio-culturale.
Il tema e il suo trattamento costringono al confronto con i film di genere religioso, con cui condivide diversi aspetti. Uno tra questi la scelta musicale confortante e melanconica, presente durante le interviste degli amici di Gesù.
Oh mio Dio utilizza lo storytelling televisivo che permette di focalizzare l’attenzione sui personaggi e il loro sentire, subordinando l’argomento ai personaggi. La soggettiva della webcam mostra gli uomini del nostro tempo nella loro quotidianità. Poi a colorare il film sono i movimenti di macchina poetici nella Roma Immortale (si passa dai Fori Romani a Campo dei Fiori, al Vaticano) che astraggono la narrazione dal presente. Peccato che l’ambizione sia frenata e la fotografia non riesca a trovare una sua forma estetizzante rimanendo troppo vicina ai video di YouTube.
In Oh Mio Dio! il tema religioso dilaga a tratti nel genere thriller-horror
Tuttavia non mancano citazioni al genere thriller-horror, che sono una cifra di Amato (vedi The Stalker e Circuito Chiuso). C’è una scena in manicomio dove una ragazza posseduta è isolata e allontanata da tutti, almeno finché non incontra Dio. L’episodio ha un’atmosfera tetra e sinistra, ma per comunicare con lo stile complessivo è attenuata, affrontata più in superficie.
L’estetica meno curata e la volontà di voler arrivare a un grande pubblico ha un po’ spersonalizzato il film, che ha lottato per nascere, con tutti i limiti di budget che differenziano le produzioni indipendenti. La sua fragilità quindi può essere accolta con questa consapevolezza, apprezzando la sceneggiatura originale e la franchezza nel dipingere il nostro Paese, potendo creare dibattito.
La bellezza delle produzioni indipendenti è infatti quella di avere l’urgenza di comunicare un punto di vista, che spesso le grandi produzioni dimenticano, occupandosi per la maggiore dell’apparenza. Giorgio Amato ci mette di fronte all’ambiguità in cui viviamo, abituati ad essere attivisti in rete, ma completamente isolati e concentrati su noi stessi nella realtà. Il rischio è che se perdiamo il nostro bisogno di stare in comunità/comunione rischiamo di perdere il nostro distacco con le bestie: Homo homini lupus.