Onyricon: recensione del cortometraggio di Andrea Gatopoulos
Onyricon è un cortometraggio di Andrea Gatopoulos, giovane regista e fotografo pescarese, presentato alla prima Biennale del collettivo Il Varco, il 29 dicembre 2015. Brecht, Szondi e Wallace sono indicati prima ancora che la pellicola si esponga come facenti parte di una bibliografia essenziale.
Wallace tentò di imitare l’interiorità e sublimarla con la parola scritta, Brecht e Wallace sono i riferimenti letterari che il regista usa come veri attrezzi di scena per sviluppare diversamente la comunicabilitá ed esplicitare, come fece Wallace, l’imitazione di una interioritá sublimandola con la parola scritta. Questi presupposti si insinuano nei fotogrammi e convergono nel disagio lavorativo che intercorre tra un’attrice, interpretata da Nika Perrone, e il suo regista (Valerio Mammolotti) che cerca da lei una interpretazione intensa, definita ma senza vantare uno straccio di soggetto o anche solo una caricatura di esso: le sue indicazioni sono per lo più a carattere cromatico e l’attrice perduta davanti la cinepresa accede ai suoi ricordi per poter proporre anche solo uno sguardo, un’espressione, un solco.
Questa bibliografia viene presentata come se fosse una verità essenziale, purché sulfurea e celata dagli spasmi pittorici che sottendono nella pellicola un gusto citazionista, come se non ci fosse una vera obliquità tra ciò che si mostra e ciò che si dice. Certo è che la paralisi registica viene confessata dal protagonista e parallelamente viene sconfessata la scrittura scenica, che non ha una importanza reale.
I personaggi, come in Wallace, giacciono in una Ithaca o una Mahagonny senza essere minimamente liberi di perdersi e ritrovarsi, i discorsi sono impersonali anzi sono spersonalizzati, non c’è una immedesimazione reale ma un j’accuse verso il bello come proposta d’arte. Essa è antifunzionale, l’arte c’è, è presente, è un gigante ma non ha una linea espressiva, risulta contemplativa quindi inutile, anche la musica ha un gusto minimale e sorge quasi come elemento disturbativo che con conosce progressione.
C’è un ridimensionamento visivo che si coglie fin da subito, un modo di sperimentare tanti tipi di arte all’unisono e deviare con le parole l’attenzione dall’oblio della psiche. Ecco che il delirio quasi grottesco e le percezioni del regista raggiungono una grande contraddizione che culmina nelle riprese disarticolate, nel nulla che accade, nei pianti mascherati, negli attori senza prosa e nel regista senza cinepresa.
Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati
Nonostante gli inciampi e le brutture del subconscio la pellicola trattiene un carattere ironico e pungente che eclissa ogni scultura, ogni accadimento per lasciarsi sovrastare dalle rievocazioni emotive e limare l’ignota maschera oscura della mente.
Il Varco, di cui Gatopoulos è il fondatore, produce, investe e crede nelle arti proponendo nuove opere, cortometraggi, poesie e fotografie di artisti emergenti.