Opus – Venera la tua stella: recensione del film di Mark Anthony Green

Ayo Edebiri e John Malkovich sono i protagonisti del thriller psicologico di debutto di Mark Anthony Green. Opus - Venera la tua stella arriva nelle sale italiane il 27 marzo 2025 dopo il passaggio al Sundance Film Festival.

L’idea di accostare la freschezza autoironica della lanciatissima Ayo Edebiri (The Bear e, a breve, anche After the Hunt di Luca Guadagnino) all’aristocratico, sinistro charme di John Malkovich è la premessa più stuzzicante di Opus – Venera la tua stella. Il thriller, scritto e diretto da Mark Anthony Green, arriva nelle sale italiane il 27 marzo 2025 per I Wonder Pictures, a poche settimane dal passaggio – un’accoglienza non così calorosa, e non solo per il freddo che fa nello Utah a gennaio – al Sundance Film Festival 2025.

Un concept interessante si dipana in modo statico e incoerente o, più correttamente: una storia promette, senza sapere se e quanto sarà in grado di mantenere. È un peccato, perché il duo protagonista ce la mette tutta a portare questo confuso thriller-horror sui pericoli della cultura della celebrità e i rischi di una comunicazione distorta, dal piano dell’ambiziosa premessa a qualcosa di più concreto e viscerale. Non c’è di che insaporirne le riflessioni, né abbastanza benzina per la suspense. Protagonisti Ayo Edebiri e John Malkovich, musiche originali del grande Nile Rodgers e The-Dream.

Opus – Venera la tua stella: il musicista pop recluso e la giovane giornalista

Opus - Venera la tua stella; cinematographe.it

Si avverte, dietro la mitologia di Opus – Venera la tua stella e la superficie patinata, glamour e inquietante di Alfred Moretti (John Malkovich) – la più grande popstar degli anni ’90, da trent’anni è fuori dai giochi ma ora è pronto al grande ritorno – l’eco delle vere icone pop saccheggiate da Mark Anthony Green per costruirne l’eccentrica personalità. C’è sicuramente qualcosa dell’eclettismo pop d’avanguardia di David Bowie, un granellino della teatralità e dell’esuberante estetica di Elton John, un profilo da guru solitario sulla falsariga di Prince, un gigantesco ranch-eremitaggio-sala di registrazione che non sarebbe dispiaciuto a Michael Jackson e, soprattutto, un culto della personalità da far impallidire il più celebre musicista fallito della storia, mr. Charles Manson. È l’ultimo, il riferimento da custodire con cura.

Nessuno si accorge che c’è qualcosa di strano, nelle cose che fa e che dice Alfred Moretti, a parte Ariel Ecton (Ayo Edebiri). Ariel è una redattrice e scrive, con poca fortuna, per la testata diretta da Stan (Murray Bartlett), bellimbusto senz’anima e senza talento. Ariel è, nell’ordine, giovane, donna e nera. Ogni volta che ha una buona idea, Stan la ringrazia e la affida a qualcun altro, lasciandola con un pugno di recriminazioni e un’inerzia professionale da cui è faticoso liberarsi. Ci pensa Alfred Moretti, a cambiare le carte in tavola. Emerge dal buen retiro trentennale con l’annuncio di un nuovo album e un esclusivo listening party per un ristretto gruppo di invitati che comprendono, tra gli altri, Stan, una celebrità televisiva (Juliette Lewis), una rampante influencer (Stephanie Suganami) e, clamorosamente, anche Ariel, che non ha credenziali nell’ambiente ma Moretti la mette in lista lo stesso. Non ha torto.

Ariel è l’unica ad aver fatto i compiti a casa e l’unica ad accorgersi che c’è qualcosa che non va, nel ranch di adepti-dipendenti-fan accaniti vestiti di blu che investono Moretti di una missione messianica, lo trattano da profeta e alfiere di una nuova religione – si fanno chiamare Livellisti – e mostrano poca pazienza per chi, come la protagonista, sembra disconoscerne l’autorità. Seguono gli ospiti come cani da tartufo – Belle (Amber Midhunter) soprattutto, l’inquietante concierge personale di Ariel – li costringono a brutali violazioni dell’intimità e non hanno remore a diventare violenti se la situazione degenera. Tutto nel nome del capo, e di una sinistra professione di fede. Fede, delirio, cultura pop, media tossici, celebrità, suspense e satira intelligente; un film, un castello di carte di ambizioni.

Quando anche John Malkovich non basta

Opus - Venera la tua stella; cinematographe.it

Mark Anthony Green vuole fare da solo e questa è una (grossa) parte del problema. Sarebbe servita, al film, quel po’ di discontinuità e uno sguardo estraneo – un paio di mani in più per lo script, forse? – a correggerne, integrarne, rinvigorirne l’architettura. Così com’è, finisce per essere il manifesto delle difficoltà che si incontrano quando non si riesce a far combaciare la suggestiva idea di partenza al film cotto e mangiato. Opus – Venera la tua stella è la somma, senza totale, di due film lontani parenti per pretese e pedigree che faticano a incontrarsi e zoppicano anche a prenderli da soli. Da un lato, c’è la riflessione satirica sui limiti di una cultura delle celebrità portata al parossismo (del delirio mistico, della setta, della nuova religione) e una denuncia della passività tossica dei media che si appiattiscono sul fenomeno, sulla realtà, senza indagare e senza spirito critico. Diventando complici, quando dovrebbero essere, invece, spietati analisti.

Se Ariel indaga, Stan prova in tutti i modi a fermarla, ripetendole che la sola cosa che conta è la musica di Moretti, e il resto non deve interessarla. Peccato che il resto – la setta, i misteriosi rituali e le altrettanto misteriose sparizioni – sia, in un modo problematico e molto attuale, un’estensione della musica, il frutto malsano di un’arte usata per scopi deliranti. In più, c’è Opus – Venera la tua stella come fantasia di genere, thriller psicologico con venature horror: suspense, sangue, tensione claustrofobica, atmosfera opprimente. Mark Anthony Green ha le idee chiare, ma non sa integrare azione e riflessione. E la riflessione è macchinosa e un po’ confusa, e al thriller mancano, paradossalmente, le due estremità, l’incendio dell’azione e il brivido della suspense. Ci sono idee interessanti, come il rapporto tra una disorientata Ayo Edebiri e la carceriera concierge Amber Midhunter, ma poco altro. Certo, c’è anche John Malkovich.

E non è poco, anzi è tanto, tantissimo, e la cosa migliore del film è il malizioso godimento del grande attore americano che dell’enigmatico e delirante Alfred Moretti tira fuori proprio tutto, l’eloquenza del profeta, il carisma irraggiungibile della star, l’eccentricità dell’eremita, il fascino strisciante, da serpente a sonagli, del diabolico ingegnere di un mondo nuovo. Solo qui il film sembra raggiungere un ragionevole, efficace compromesso tra le sue tante anime – satira, orrore, riflessione, genere – e offrire un potenziale pienamente sviluppato. Ma c’è un universo (di personaggi, di idee, di prospettive) tutto intorno che non riesce a coagularsi e farsi organico, coerente, uno. Opus – Venera la tua stella contiene moltitudini; non è necessariamente un bene.

Opus – Venera la tua stella: valutazione e conclusione

Bisogna dare ascolto al luogo comune. Forse è la febbre del debutto, l’ambiziosa volontà di mettere nel film più del necessario perché non si può mai sapere se ci sarà un’altra possibilità, a stordire (in due modi) il coraggioso Mark Anthony Green. Da un lato, dentro Opus – Venera la tua stella c’è tanto, probabilmente troppo: il racconto dell’attualità mediatica (tossica, appiattita sul fenomeno, incapace di capire, indagare), il satirico attacco ai pericoli della cultura della fama, l’omaggio al genere. Dall’altro, manca una visione organica, manca la coerenza e, in modo più sottile, un fuoco interiore. Il film ha cose intelligenti da dire, ma non sa dipanare il filo delle sue argomentazioni; vorrebbe divertirsi guardando al genere, imbrigliare le sue riflessioni dentro una cornice thriller tesa e indiavolata, ma resta freddo e distaccato. Non è abbastanza arrogante per sbattere in faccia allo spettatore l’intelligenza delle argomentazioni, né ha sufficiente voglia di divertirsi con il genere. La prova luciferina di un magnetico John Malkovich non basta a nascondere i difetti e dare coerenza.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.4