Orion e il Buio: recensione del film animato, scritto da Charlie Kaufman
Charlie Kaufman adatta un libro illustrato per bambini, per l'esordio alla regia dell'animatore Sean Charmatz.
Su Netflix è disponibile, dal 2 febbraio 2023, Orion e il Buio, lungometraggio animato diretto da Sean Charmatz e sceneggiato da Charlie Kaufman.
Il film è tratto da un libro illustrato per bambini di Emma Yarlett e racconta la storia del piccolo Orion, che supera la propria paura dell’oscurità, grazie all’incontro con una simpatica personificazione del buio stesso.
Orion e il Buio: un amalgama fra estetica Pixar e poetica di Charlie Kaufman
Kaufman prende questa vicenda e la adatta alla propria poetica. Orion da bambino in età prescolare si trasforma in un preadolescente di undici anni, pieno di ansie e fobie, che esterna attraverso il disegno – ovvero un’immagine del tipo dell’artista sensibile e leggermente alienato, tipico protagonista kaufmaniano. È anche innamorato di una ragazzina, ma le proprie paure gli impediscono di dichiararsi. Kaufman inserisce nella trama del libro per bambini il tema della difficoltà delle relazioni, ma anche la forza totalizzante dell’amore (e dei rapporti familiari, considerando come prosegue la storia).
Buio, l’entità metafisica che si palesa a Orion, è accompagnato da una serie di collaboratori, Insonnia, Quiete, Sonno, Rumori misteriosi e Sogni d’oro, che ricordano un po’ i personaggi di Inside Out (Docter, 2015). Ed effettivamente, pur essendo prodotto da DreamWorks, il lungometraggio appare come un mix fra la poetica tipica di Kaufman e un classico film Pixar.
A dire il vero gli elementi derivativi dai lavori Pixar – oltre al già citato film di Docter, viene in mente, per tematica e stile vagamente gotico, Monster and Co. (Docter, Unkrich e Silverman, 2001) – risultano gli ingranaggi più deboli di un meccanismo narrativo altrimenti abbastanza ben strutturato. I collaboratori di Buio presentano un design poco interessante e tutto sommato non aggiungono granché al racconto, se non un retrogusto a tratti comico e a tratti banale – soprattutto il personaggio di Sogni d’oro, letto come entità femminile sempre perfetta, di cui è importante guadagnare il rispetto. Lo stupore infantile e il sense of wonder che dovrebbero scaturire dalla scoperta di un mondo altro, fatto di entità cosmiche, nascoste dal velo della realtà quotidiana, vengono tralasciati in favore di un mondo popolato da bambini che rappresentano ansie, paure e aspirazioni adulte. Mentre, da un punto di vista visivo, sebbene non manchino immagini poetiche, il tutto è improntato su un tono surrealista, piuttosto che fantastico.
Kaufman e l’arte del racconto
A patto di accettare questo gioco, per cui l’infanzia rappresenterebbe un microcosmo abitato da delle versioni primigenie di adulti in miniatura, il film può offrire numerosi spunti di riflessione, legati principalmente alla poetica kaufmaniana. Su tutti spicca il valore che lo sceneggiatore attribuisce all’atto di raccontare storie. Il film parte infatti come un flashback di Orion adulto, che racconta una storia alla propria figlioletta, Ipazia. Ma presto la bambina si inserisce nella storia, anche fisicamente, rendendola la propria storia, in una sorta di mise en abyme che continuerà con le generazioni future della famiglia del protagonista. Insomma Kaufman sostiene l’importanza della narrazione in quanto elemento fondante dell’identità di specie umana. Raccontare storie non solo contribuisce a costruire la propria identità, ma permette di forgiare legami emotivi con gli altri e di influire sulla materia stessa della realtà.
Il racconto, la letteratura e infine il cinema, dunque, non costituiscono solo forme di rielaborazione intellettuale, necessarie all’uomo per comprendere la propria esperienza della vita (il senso della vita). Esse sono soprattutto delle tecniche con cui l’essere umano riesce a modificare l’esperienza stessa del vivere, divenendo gli strumenti magici con cui l’uomo può cambiare la realtà e autodeterminarsi. L’atto di raccontare assume così, nel film, un valore mitico e si pone come esperienza fondante per l’umano. Non a caso questo permette al piccolo Orion di venire in contatto con un’entità ancestrale come Buio. Inoltre esattamente come vuole il suo nome (la costellazione di Orione è composta da stelle particolarmente luminose ed è visibile dalla maggior parte del pianeta) Orion grazie alla sua creatività narrativa riesce a illuminare la natura dell’oscurità e dell’ignoto, mostrandoci un’altra prospettiva da cui guardare le cose. Una prospettiva per cui il buio non è fonte di terrore ma crogiuolo di possibilità nascoste cui dar forma, proiettandovi la luce delle nostre ambizioni e passioni. Una possibile interpretazione metatestuale del discorso kaufmaniano potrebbe essere quella che vede nel buio/inconscio collettivo l’elemento necessario per avere la luce del racconto/cinema.
Orion e il Buio: valutazione e conclusioni
Tecnicamente il film è ben realizzato, presenta delle ottime animazioni in CGI e alcuni momenti onirici molto interessanti. Per esempio tutta la sequenza del sogno che diventa incubo, debitrice dell’estetica di Tim Burton, è convincente e affascina per inventiva e forza surrealista. La regia è abbastanza di mestiere, ma riesce a seguire bene il dipanarsi di idee, concetti e trovate, non sempre lineari, tipiche di Kaufman. I doppiatori sono tutti ottimi, a partire da Angela Basset (Sogni d’oro) e Carla Gugino (la madre di Orion) fino ad arrivare a Werner Herzog. Ebbene sì il noto regista tedesco fa un cameo vocale nel film, avvalorando tra l’altro la tesi per cui in fondo Kaufman ci sta parlando dell’importanza della forma narrativa cinematografica. Buio si presenta a Orion, infatti, attraverso un documentario da lui girato, in cui il narratore è proprio Herzog!