Berlinale 2019 – Ut og stjæle hester (Out Stealing Horses): recensione
Il film svedese Ut og stjæle hester (Out Stealing Horses), diretto da Hans Petter Moland è un romanzo di formazione profondo e di grande valore cinematografico e narrativo.
Per quanto suoni noioso e mortalmente stancante, è facile definire Ut og stjæle hester (Out Stealing Horses): il film svedese presentato alla Berlinale 2019 è un coinvolgente romanzo familiare che pianta salde nella natura scandinava la sua essenza e la sua identità. E no, non è un mattone come sembra, solo un po’.
Il film, diretto da Hans Petter Moland, parte dalla solitudine di un uomo, Trond (Stellan Skarsgård), nei boschi norvegesi e procede alternando il presente e il passato per raccontarci la sua storia. Conosciamo suo padre il boscaiolo, carismatico e pragmatico. Conosciamo anche il suo amico d’infanzia Jon e la sua famiglia e scopriamo come un evento drammatico abbia condizionato irrimediabilmente gli eventi futuri.
Ut og stjæle hester esplora in maniera sorprendentemente dinamica il concetto di storia di formazione spiegando in maniera schietta e genuina cosa porterebbe mai un uomo a volersi isolare tra le nevi nordiche. Scopriamo il suo difficile rapporto con il padre, scopriamo che aveva una moglie e scopriamo che, forse, tra quelle nevi, potrebbe aver incontrato un vecchio amico.
Ut og stjæle hester (Out Stealing Horses): un romanzo di formazione in cui traspare la bravura di Stellan Skarsgård
Il film, trasposizione dell’acclamato romanzo del 2003 scritto da Per Petterson, intreccia le storie familiari, indubbie protagoniste, con il contesto storico dell’epoca: siamo nel 1948, è appena terminata la Seconda Guerra mondiale e inevitabilmente le memorie più recenti dei protagonisti sono legate al conflitto, grande metafora degli eventi più personali che caratterizzano la pellicola.
Il catalizzatore è Stellan Skarsgård, che davvero non ha bisogno di presentazioni. L’attore svedese riesce sempre a essere burbero e vulnerabile in un modo che non può che rimanere impresso nella mente dello spettatore. In Out Stealing Horses svolge la doppia funzione di protagonista e narratore, quando si tratta di tornare agli eventi passati che l’hanno coinvolto. Li racconta a noi, come fossimo un diario e lo fa con malinconia reale e stoica.
La sua voce – profonda e impostata – è accompagnata dai suoni della natura che si stagliano fragorosi per tutto il film. Veniamo assordati dallo zampettare delle formiche, dallo scricchiolio della neve sotto le scarpe, dal frastuono di un albero che viene abbattuto e che fa tremare tutto ciò che lo circonda. L’uso del suono, così preponderante e che spesso si sostituisce alla musica come colonna sonora, è il perfetto contorno per i paesaggi incontaminati che ospitano il racconto.
Ut og stjæle hester è un’opera profondissima e di grande valore cinematografico e narrativo. Al contempo, però, si impone allo spettatore consapevole di essere un oggetto artistico da festival che, purtroppo, potrebbe rivelarsi poco adatto al grande pubblico. Il film svedese abbandona ogni tentativo di accontentare lo spettatore e accetta di essere apprezzato da pochi. Paga la volontà di procedere lento e incostante seguendo una sceneggiatura che non potrebbe essere più letteraria di così.