Venezia 73 – Paradise: recensione del film di Andrei Konchalovsky
È stato presentato in concorso alla 73a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia l’ultimo lavoro del celebre regista russo Andrei Konchalovsky; Paradise (Paradiso) è l’ultima – ennesima – prova registica di un personaggio ben determinato, coerente nella sua conduzione stilistica. Nel caso di Paradise – nonostante la determinatezza appena citata – sussistono imperfezioni – ma soprattutto incongruenze – sul piano narrativo che non possono lasciare lo spettatore indifferente. Una distorsione della storia lieve ma evidente, in controtendenza con la naturalezza stilistica del regista russo.
Paradise ha il difetto di convincere emozionalmente a metà chi lo guarda; se non fosse per una poderosa fotografia curata da Aleksandr Simonov, il film – nella sua interezza – non va oltre la sufficienza – striminzita – delegittimando l’ideologia base del buon Konchalovsky. Questa rappresentazione di un “paradiso” mal personalizzato. Questa assurda ideologia nazista apparentemente kitsch alimentata da un’altrettanta faceta – ma morbosa – convinzione di superiorità – od inferiorità – razziale in questa pluralità di soggetti. Una prostrazione ad interim opposta ad una pseudo-superiorità intellettuale. In entrambi i casi la confusione dei personaggi non viene a mancare, adulterando quella limpidezza narrativa, utile nel persuadere lo spettatore.
Andrei Konchalovsky pone – nel tentativo di espandere su larga scala – una riflessione sul ventesimo secolo, caratterizzato da grandi illusioni svanite totalmente nel nulla. Paradise mostra storie di vita quotidiana durante la Seconda Guerra Mondiale incrociando i destini di tre personaggi apparentemente evasivi; il film inoltre non produce moralismi fini a se stessi ed esegue a suo modo una conturbante e surrealistica messa in scena con questi tre personaggi “dilaniati” da rimorsi e puerili sensi di colpa.
“Sognate il paradiso ma non c’è paradiso senza inferno”
Attraverso citazioni mal pensate, ed estenuanti riflessioni su come l’umanità non è pronta per la perfezione, Paradise è in sospensione – totale – fra una lungimirante morale ed un’utopica convinzione; una annulla l’altra generando amoralità nel giudizio critico di chi lo sta a guardare. Questa estraneità rispetto agli schemi o ai contenuti morali intrapresi da Konchalovsky rappresenta quell’elemento – negativo – che minimizza il valore della pellicola. Nonostante le interpretazioni mediamente struggenti – con queste caratterizzazioni trattate con velleità – e un contesto semi-incompreso, quasi irrisolto nella sua forma, Paradise appare un sbiadita copia – con connotati però più riflessivi e più ruvidi che la differenziano – dei più celebri lavori drammaturgici hanno “calcato” il panorama cinematografico che conta (su tutti Schindler’s List di Steven Spielberg).
Paradise dunque difetta nel suo insieme, non ponendo nessun tipo d’interesse – più del dovuto – nello spettatore; ricercare esaustivamente emozioni nel tentativo di farle vivere sulla pelle dello spettatore. Nel suo essere “monito” Konchalovsky ottiene l’effetto mal sperato; non induce a riflettere ma bensì a destabilizzare l’attenzione del pubblico sofferente nel reggere ben due ore di narrazione caratterizzata da un’eccessiva verbosità che trasmette solo indisponenza. Un tragico risultato ma Konchalovsky – forse inconsapevole – riesce ad annullare – clamorosamente – l’efficacia del suo lavoro. Paradise infatti parte con buoni propositi per poi perdersi e non ritrovarsi più.
L’intento principale di Konchalosky è quello di mostrare – in maniera semi-introspettiva – quella convinzione individualistica semi irrealizzabile. Addentrarsi in dottrine o concezioni ideologiche alienanti per analizzarle quasi chirurgicamente dal di dentro. Nonostante questa intrigante scelta stilistica – come ribadito ampiamente in precedenza – l’efficacia viene a mancare divenendo assurdamente lesiva.
Paradise è un film diretto da Andrei Konchalovsky. Scritto da Andrei Konchalovsky e Elena Kiseleva. Prodotto dalla Drife Productions e Production Center of Andrei Konchalovsky. Nel cast Philippe Duquesne, Peter Kurth, Julia Vysotskaya, Christian Clauss, Victor Sukhorukov.