Parigi, 13 Arr. – recensione del film di Jacques Audiard
Il nuovo film di Audiard racconta quanto profonda possa essere la superficie.
Avevamo quasi dimenticato l’irresistibile fascino del margine fino alla visione di Parigi, 13 Arr. (Les Olympiades) di Jacques Audiard, in uscita nelle sale italiane il 24 marzo 2022. Nella celebre geografia di Parigi, il 13mo Arrondissement è uno di quei luoghi “non-luoghi” dei quali non importa niente a nessuno. È un susseguirsi di palazzi altissimi ai piedi dei quali vi è un brulicare di ristoranti asiatici. “Sembra di stare a Shanghai”, dice uno dei personaggi minori, guardando il 13mo dalla finestra di casa. Si tratta della casa di Èmilie, la protagonista molto ben interpretata da Lucie Zhang. La giovane, di origini asiatiche, lavora in un orribile call center, nonostante abbia conseguito una laurea in Scienze Politiche, e vive nella proprietà della nonna, malata di Alzheimer ed ospite di una casa di riposo nei paraggi. Il titolo del film di Audiard non poteva essere più indicato, dal momento che è proprio questo lembo di periferia a costituire il microcosmo all’interno del quale i personaggi e le loro vicende prendono corpo. La scelta di girare in bianco e nero lascia intuire quanto profonda possa essere la superficie.
I tre personaggi cardine di Parigi, 13 Arr.
Oltre alla già menzionata Èmilie, nel film ci sono altri tre personaggi cardine: il bel Camille (Makita Samba), l’affascinante Nora (Noémie Merlant) e la conturbante Amber Sweet (Jehnny Beth). Sono tutti giovani, belli ed anche un pò dannati. Ricordano l’aforisma di Nietzsche secondo il quale “tutto ciò che è profondo ama la maschera”. Èmilie, Camille e Nora creano un triangolo amoroso, che è pura apparenza: i sentimenti di ciascuno si alimentano di esperienze drammatiche nascoste. La pellicola non è solo un raffinato gioco visivo in bianco e nero, ma segue il canone tipico dell’estetica orientale in base al quale le cose importanti possono essere solo accennate, tutt’al più intraviste. Al pari dei giovani protagonisti anche noi spettatori veniamo precipitati nel labirintico Arrondissement, scoprendo un po’ alla volta quanta sofferenza si cela dietro la superficialità ostentata nelle relazioni umane. C’è solo Amber Sweet, la bomba sexy online, ad abitare uno spazio diverso da quello degli altri protagonisti: uno spazio che rimane segreto, perché il web tradisce la promessa di far vedere tutto a tutti, mostrando corpi inautentici e senz’anima. Parigi, 13 Arr. impone una riflessione sul mondo delle cosiddette “relazioni liquide” ovvero l’intreccio di rapporti sentimentali, amorosi e amicali dai confini incerti, come è stato descritto dal sociologo Zygmunt Bauman.
Le relazioni di Parigi, 13 Arr. sono molto meno “liquide” di quanto potrebbe sembrare a prima vista
In realtà, le relazioni di amore e di amicizia raccontate da Audiard sono molto meno liquide di quanto potrebbe sembrare a prima vista. È del tutto evidente che i più vetusti pregiudizi di genere, di orientamento sessuale, razza ed etnia, siano assenti in questa pellicola che parla al presente del presente. Tuttavia, il film non nasconde le difficoltà relazionali connesse a contesti familiari difficili, come lo sono quelli di Èmilie e di Camille. Se lei non riesce a spiegare alla madre, pur parlandole in cinese, che è proprio l’amore che sente per la nonna a rendere così difficili le visite nella casa di riposo, lui si sente in colpa perché l’ambizione professionale, che lo ha portato ad intraprendere un Dottorato in Letteratura, lo ha anche allontanato dal padre vedovo e dalla sorella balbuziente. In questo mondo fatto di passioni doloranti e arrugginite, arriva il lieto fine o meglio il compimento di una storia ben scritta e ben rappresentata.