Pasolini: recensione del film di Abel Ferrara con Willem Dafoe
Pasolini è un film di Abel Ferrara del 2014, interpretato da Willem Dafoe, Maria de Medeiros, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea e Ninetto Davoli.
Ferrara introduce lo spettatore in un mondo lontanissimo dal cinema, dalle riflessioni e dalle officine letterarie di Pier Paolo Pasolini per traghettarci nell’intimità, nella vita privata del poeta corsaro e di come trascorresse i suoi ultimi giorni a Roma tra interviste incompiute e pellicole mai nate.
Pasolini: attimi di vita senza vita di un uomo forse inedito forse mai esistito
Pasolini è una pellicola divisa da un crinale narrativo che determina la scissione filmica in cui una parte si svolge nella vita di Pasolini, o immaginando le sue ultime ore, e l’altro abbandona ogni realtà per dare un confine, un colore al suo saggio/romanzo intimista Petrolio, con fughe verosimili alla sua pellicola incompiuta Porno-Teo-Kolossal.
L’inizio di Pasolini è così alternato, il creatore delle Ceneri di Gramsci è di ritorno dalla Svezia e lo accolgono in casa la madre, la cugina e il corriere della sera che è l’unico momento del film in cui si apre uno squarcio sulla realtà involutiva italiana degli anni ’70.
La vita casalinga è ben redatta, la sua vita da uomo fuori da ogni schema e che denuncia e non teme ripercussioni è qui messo da parte per mostrarci un uomo legato alla famiglia, all’amicizia con Laura Betti che porta chiasso e, attraverso le tinte tenui della sua quotidianità, genera scompiglio e divertimento nella sua elegante e composta dimora, particolarità che univa tanto le due persone così differenti eppure affini.
Il punto di vista di Ferrara è un modo superficiale per colmare il senso profondo che ha avuto la sua fine
In un altro luogo e in altri colori viene mostrata una rielaborazione di Petrolio in cui un uomo, nella periferia romana, è in ginocchio nell’ombra concedendo fellatio a ripetizione ad un gruppetto di ragazzi. La scena nasce e muore qui, senza respiro o cambio registro. E non sarà l’unica.
Scamarcio e Davoli saranno protagonisti di un altro momento allegorico in cui interpreteranno, al di fuori della trama, una scena della sceneggiatura di Porno-Teo-Kolossal, in cui tra le borgate si vocifera e si narra che sia nato il messia e, tra le urla e la gioia della gente, i due partono con grande entusiasmo seguendo una cometa nel cielo, tentando di scovare il luogo della sua nascita.
Il loro viaggio si esaurirà presto poiché non troveranno nessuna nascita, nessun luogo sacro ma un festino erotico in cui uomini e donne omosessuali danno vita ad un rituale orgiastico che blocca in modo arcigno la ricerca del messia, confutando quella missione come un insensato modo di sperare in una spiritualità e in una religione assoluta nell’Italia di oggi, che illuse ieri come oggi.
Queste sono le pillole allegoriche inserite qua e là nella pellicola di Ferrara che d’altra parte continua a narrare senza davvero farlo, attimi di vita senza vita di un Pasolini forse inedito forse mai esistito.
Ma la vita di Pasolini non accenna a trovare un senso, Ferrara prova sì a mostrare quanto fosse solo e dimesso e corrucciato e attratto quasi patologicamente dal sesso e di come ciò influenzasse la sua vita, ma parlare degli ultimi giorni di Pasolini non significa discostarsi da tutta una vita, non significa adombrare le sue parole, non significa necessariamente demistificare il mito ma nemmeno manipolare la storia.
Il punto di vista di Ferrara è un modo superficiale, accennato, decimato per colmare il senso profondo che ha avuto la sua fine, i suoi ultimi respiri riassumendoli in 80 minuti di pellicola puntellandola di rimandi narrativo allegorici per dipanare al meglio le sue perversioni/ossessioni e giustificare in qualche modo il trapasso sulla spiaggia di Ostia sottraendo ogni verità, ogni contestualizzazione.
Sembra che Pasolini sia solo descritto come un uomo morto a causa dei suoi desideri, e non l’uomo che era scomodo per tanti, odiato dai più, senza difese e che ha trovato la morte non solo per le sue scelte carnali.
Il punto di vista di Ferrara non è un punto di vista, è la scelta di narrare la vita di un uomo che ha subito la ghettizzazione e la violenza di sciacalli impietosi, punto. Un uomo senza storia, senza tensione, senza memoria, la storia di Pasolini è manipolata con la voglia di dover scovare l’elemento conturbante in un biopic che è più di quando lontano dalla sua persona.
Willem Dafoe è una balena in un pantano, non è riuscito a portare a casa una recitazione degna di essere ricordata di certo non grazie ad una sceneggiatura perduta nei vizi capitali, che riprende due opere di Pasolini e poi ricreata ad hoc per arrivare alla fine sia filmica che reale di un uomo che non è mai stato letto, ascoltato e considerato come andrebbe fatto.
Pasolini è una pellicola senza contesto, senza memoria
Willem Dafoe è una balena in un pantano
Il miglior ricordo che possiamo estrapolare da questa pellicola è proprio attraverso Petrolio, in cui Pasolini divide la società e mostra come essa stessa riesca ad attraversare l’uomo dividendolo a sua volta, borghese e cattolico da un lato e anticristo e controverso e rozzo dall’altro.
Pasolini delinea la sua prospettiva della corruzione, quella degradazione che era insita nei mores del Bel paese finite nelle più bieche ambizioni conformiste, nella coscienza dell’Italia sottratta di ogni sapere, figlia della DC, martellata dallo spirito catto-perbenista e oltraggiata dall’indifferenza, l’immondizia di una società che scarta le menti più alte per fidarsi del capitalismo, solo capre assoggettate all’industrializzazione e al consumo. La disillusione la rabbia sono molteplici e violente e Pasolini urla e denuncia sempre a testa alta la morte della Rappresentazione e dell’orgoglio popolare.
Questo è il Pasolini che ci manca, per cui ricordiamo l’eroismo senza eguali, fosse stato rappresentato anche solo in minima parte in questa pellicola, che di Pasolini, forse, ha purtroppo solo il nome.