Paura d’amare: recensione del film con Al Pacino e Michelle Pfeiffer
Paura d’amare è un film del 1991 basato sulla pièce teatrale Frankie and Johnny in the Clair de Lune di Terrence McNally, che ha anche curato la sceneggiatura di questa trasposizione cinematografica. Dopo il clamoroso successo mondiale di Pretty Woman, uscito appena un anno prima, Garry Marshall si dedica nuovamente a un film sentimentale, che però stupisce per la delicatezza, il realismo e l’anticonformismo con cui viene trattato un genere già ampiamente sfruttato nel cinema di quegli anni. Protagonisti assoluti di Paura d’amare sono Al Pacino e Michelle Pfeiffer, che si ritrovano 8 anni dopo la loro prima fortunata collaborazione in Scarface e nobilitano la pellicola con il loro carisma e la loro presenza scenica, dando un apporto fondamentale alla costruzione dei rispettivi personaggi e della relazione che intercorre fra loro.
Paura d’amare: sentimento realistico e ben sviluppato con un mai così romantico Al Pacino
Paura d’amare (Frankie and Johnny in originale) ha per protagonisti il cuoco Johnny (Al Pacino), uomo di mezza età appena uscito di galera, e la cameriera Frankie (Michelle Pfeiffer), donna single ormai oltre la trentina. Johnny viene assunto nella stessa tavola calda in cui lavora Frankie, e comincia fin da subito a corteggiarla assiduamente, con tanta voglia di ricominciare una nuova vita dopo il periodo in prigione e un matrimonio fallito. Frankie dal canto suo non chiude la porta a Johnny, ma è reticente a cominciare una storia seria a causa di brutte esperienze del suo passato che condizionano anche la sua vita presente. Riusciranno la costanza e il sincero amore di Johnny a fare breccia nel cuore tormentato e inaridito di Frankie?
Paura d’amare racconta una storia semplice, lineare e neanche lontanamente innovativa, ma lo fa in maniera misurata e realistica, senza avventurarsi in monologhi e situazioni difficilmente avverabili nella vita di tutti i giorni, arrivando così anche al cuore dello spettatore meno sensibile. Frankie e Johnny sono due persone con i piedi saldamente ancorati al terreno, che sbarcano il lunario con un lavoro umile e che cercano disperatamente di lasciarsi alle spalle un passato difficile, che ha lasciato profonde cicatrici nel loro modo di vivere e rapportarsi con le altre persone. Difficile non rimanere affascinati dalla loro goffaggine sentimentale e dalle sincere e tangibili emozioni che guidano o frenano le loro azioni. Ci troviamo così a parteggiare per un uomo d’altri tempi, che non ha più nulla da perdere nella vita e perciò non ha paura di investire tutto se stesso nella ricerca di un amore difficile da conquistare.
Johnny è un rullo compressore che non si ferma davanti a niente e nessuno, e che mette sul piatto tutta la sua dolcezza e la sua parlantina per dimostrare a Frankie i suoi sentimenti, spingendo forte sul romanticismo e sulle coincidenze che lo legano alla donna dei suoi sogni, come la canzone Frankie and Johnny che dà il titolo al film. Il personaggio è reso alla perfezione da un Al Pacino che dimostra una volta di più il suo immenso talento e la sua innata poliedricità in un ruolo diverso da tutti gli altri interpretati nella sua gloriosa carriera. L’attore di origine italiana sfrutta il suo viso e tutto il suo corpo per delineare il suo personaggio, dimostrando notevoli doti da attore brillante, soprattutto nelle spassose scene di sesso. Michelle Pfeiffer è il suo perfetto contraltare, sempre regale nelle movenze e nel modo di parlare, ma anche abile nel mostrare tutta la fragilità di un personaggio diviso fra la voglia di lasciarsi andare verso un sentimento che credeva ormai dimenticato e la paura di provare l’ennesima grande delusione. I due si annusano, si cercano, si respingono, si allontanano e poi si riavvicinano, ballando una danza fatta di amore, incertezza e desiderio che si conclude con un finale leggero e sfumato, lontano dagli happy ending sensazionalistici ed eccessivi tipici di questo genere di film.
La regia di Garry Marshall e la fotografia di Dante Spinotti sono asciutte e discrete, prive di particolari e in questo caso non necessari virtuosismi. Oltre agli attori e a una bella colonna sonora (con la perla del Chiaro di Luna di Debussy), il punto di forza del film è sicuramente una sceneggiatura di grande spessore, che con un pizzico di malinconia accompagna lo spettatore all’interno di una storia d’amore dolce ma non sdolcinata, vera ma non banale, già vista ma non scontata, senza risparmiare alcuni sottili riferimenti a temi più duri o scottanti come l’omosessualità, la violenza domestica e la sterilità. Paura d’amare ci ricorda la forza dei veri sentimenti e ci invita a concedere sempre alla vita una nuova occasione di stupirci e di renderci felici, anche se in passato ci ha riservato tante delusioni; lo fa senza strilli e senza esagerazioni, sussurrando semplicemente al nostro orecchio quello che ci vuole dire, come fa un innamorato con la sua amata e come spesso fa il buon cinema.
Deve esserci al mondo qualcosa di più bello che stare a guardarti, ma mi venga un accidente se mi viene in mente cosa!