Venezia 79 – Pearl: recensione del film di Ti West con Mia Goth
1918. La ventenne Pearl vuole diventare famosa, ma è costretta a vivere e a lavorare nella fattoria di famiglia. L'ambizione della ragazza sfocerà presto nella pazzia...
Nel corso del 2022 il film X – A Sexy Horror Story è tanto lentamente quanto inesorabilmente assurto al rango di cult cinematografico dell’anno. Merito del passaparola, della pressoché immediata – e illegale – reperibilità online, del divieto ai minori di 18 anni (che, giocoforza, ne ha alimentato l’hype). E merito soprattutto dell’attrice Mia Goth che, dopo alcune prove interlocutorie (Suspiria, High Life, Emma.) si è ritagliata infine un ruolo iconico da protagonista, nei doppi panni della giovane attrice hard Maxine e dell’anziana disperata Pearl.
Capita che registi e sceneggiatori, per agevolare gli attori, tratteggino in fase di scrittura una precisa backstory dei personaggi principali; più difficile che poi quegli “scarti” diventino realmente opere a loro stanti. Capita qui con Pearl, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2022 nella consueta proiezione annuale di mezzanotte, vera e propria origin story (un prequel, con qualcosa in più) che spiega le motivazioni che hanno portato la donna a una esistenza di privazioni, sofferenza e ovviamente follia omicida.
Pearl: “La malvagità si sta annidando dentro di te”
Non è necessario aver visto il primo film, ma di sicuro aiuta: l’anno è il 1918, circa 60 prima degli eventi narrati in X, e Mia Goth interpreta una ragazza che lavora duramente nella fattoria di famiglia, desiderando il ritorno del marito Howard che sta combattendo in Europa (e sognando soprattutto di sfondare come ballerina nel cinema, per affrancarsi dalla limitante quotidianità bucolica in cui è incastrata). La guerra è quasi al termine e l’influenza spagnola è quasi finita, anche se Pearl deve ancora indossare una maschera quando va in città per le sue commissioni. La giovane è però profondamente infelice, e l’emarginazione aumenta la sua frustrazione e il suo comportamento inquietante.
La severa madre, immigrata tedesca di prima generazione, intuisce che il male sta germogliando nell’animo della figlia, e cerca di controllarla con crudezza e ferocia; una missione che si rivelerà impossibile. A dispetto della trama, Pearl è un film colorato e sgargiante, che omaggia i melodrammi di Douglas Sirk: è così che lei vede la realtà che la circonda, anche quando uccide un’oca con un forcone, o quando è in procinto di dare in pasto al coccodrillo dello stagno suo padre, infermo e in stato semi-vegetativo. Il regista Ti West e il direttore della fotografia Eliot Rockett abbandonano del tutto il naturalismo, mostrando ciò che la loro squilibrata eroina deve provare in quel momento, come nella scena alla Il mago di Oz in cui Pearl molesta uno spaventapasseri.
Pearl: il sonno della ragione genera mostri?
Per chi ha voglia di stare al gioco, c’è di che divertirsi: mentre X si snodava come un omaggio – anzitutto estetico e formale – a Non aprite quella porta con una vena lasciva alla Russ Meyer, questo lavoro si rivela un incrocio tra Che fine ha fatto Baby Jane? e Psyco. Pearl è uno shock movie, ma solo per chi non ne ha mai davvero sentito parlare: il sentimento di leggerezza e follia creativa prevale inevitabilmente su quello dello stupore, e la realizzazione è talmente (consapevolmente) sopra le righe da non scatenare mai in chi guarda paura e orrore. Non c’è interesse in questo, da parte degli autori. C’è invece, oltre la confezione citazionista, la volontà di creare un immaginario credibile, sfidando le regole del genere.
Il desiderio è quello di metaforizzare ed esteriorizzare: il film parla delle conseguenze delle pandemie, e di come l’esperienza dell’isolamento forzato covi disfunzioni e generi mostri. Sappiamo che la giovane Pearl, sorta di Pippi Calzelunghe demenziale, sopravviverà (altrimenti X, in cui la vediamo decrepita e devastata, non sarebbe mai esistito), ma l’attenzione è tutta rivolta al modo in cui si arriverà al suo decadimento umano e morale. C’è chi, a Venezia 79, avrebbe voluto vedere Pearl in concorso, come una sorta di film sorpresa. Non nascondiamo che questa eventualità ci avrebbe stuzzicato, mettendoci nei panni della giuria capitanata da Julianne Moore: come comportarsi di fronte a una pellicola così contemporanea, attuale e viva?