Venezia 76 – Pelican Blood: recensione

Recensione di Pelican Blood, film di Katrin Gebbe presentato a Venezia 76 che racconta le difficoltà della mente tra empatia e magia nera.

Per l’apertura della sua 76esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, la sezione Orizzonti sceglie il cinema di genere. Quello misterioso, che mischia al suo interno gli stilemi delle pellicole horror e quelli del thriller dai risvolti più o meno psicologici che affliggono la mente dei loro protagonisti. Lo fa con la giovane regista e sceneggiatrice Katrin Gebbe alla sua seconda opera, la quale prende il titolo da un vecchio mito che viene dai territori induisti e vudù. Pelican Blood è l’incomprensibilità, l’ambiguità di uno spirito che sembra interferire con la vita di una famiglia diversa dalle altre, nel tentativo di far coincidere metafora e disturbo reale.

Famiglia particolare, quella della madre single Wiebke (Nina Hoss), perché composta solamente dalla donna e dalle sue due figlie adottate, la diligente e affettuosa Nicolina (Adelia-Constance Ocleppo) e la nuova arrivata Raya (Katerina Lipovska). Una bambina, quest’ultima, dolcissima all’apparenza, fino a quando il trascorrere dei giorni della loro casa nel mezzo della campagna non rivelerà la sua vera natura. Ma qual è il tormento che rende ingestibile Raya? Tra mancanza di empatia e magia nera, la sua mamma Wiebke cercherà di trovare una soluzione.

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Pelican Blood: una pellicola enigmatica, ma zoppicante

Una madre alle prese con le patologie del proprio figlio. Quella di Pelican Blood è una storia che riverbera dal passato, portando alla mente un’altra opera che trattava delle difficoltà di una madre nell’affrontare le apparenti paturnie del proprio piccolo, costretta a doversi scontrare con delle realtà ben più torbide e terrificanti. È, infatti, l’esordio alla regia di Jennifer Kent e il suo successo mondiale Babadook a fare capolino nel lavoro della tedesca Katrin Gebbe, spogliato però della sua massiccia dose horror, per addentrarsi nei labirintici percorsi della mente e, in alternativa, dei riti occulti.

Un continuo avvicendarsi, quello della doppia via di risoluzione di Pelican Blood, che si muove specularmente alla metafora che il film sceglie di perseguire e che si lega con facilità alla narrazione piuttosto enigmatica della pellicola. Se, dunque, il discorso sul non lasciare indietro nessun anello debole o irrequieto, alimentando con l’amore e la perseveranza la sua condizione di disagio, si palesa con chiarezza – e con tanto di perseveranza della protagonista per portare la situazione incontrollabile con la sua Raya alla normalità -, è lo svilupparsi del racconto che rende zoppicante la pellicola. Un arrancare che non manca certo di colpi a sorpresa, ma che perdono presto della loro forza a causa del loro ripetitivo avvicendarsi di sequenza in sequenza.

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Pelican Blood: uno spunto interessante, che si perde in un racconto saturo

Se questa costruzione della sceneggiatura non permette certo allo spettatore di tediarsi nelle speculazioni interpretative sul film, il risultato porta però a una saturazione degli eventi, senza sembrare mai davvero voler arrivare alla conclusione del proprio racconto e allungando all’inverosimile il suo epilogo, quando ormai ha già perso la propria presa sul pubblico. Non basta il cambiamento graduale della madre a sostenere lo sgrovigliarsi delle domande attorno al personaggio della piccola Raya, che nell’auto-distruzione per salvare l’anima della bambina rischia di distruggere la propria.

Se di elementi interessanti Pelican Blood è sicuramente pieno, è la gestione delle sue trovate ad appesantirne un racconto che avrebbe dovuto tenere con mano più decisa la narrazione e meno volenterosa di dipanarsi all’inverosimile fino a ricolmare di informazioni lo spettatore. Una mancanza di concisione che, se fosse stata applicata, si sarebbe unita con discreta fortuna alla parte che va componendo il reparto registico e fotografico, che rimane solo una benfatta copertina, senza l’adeguata sostanza all’interno. Uno spunto ragguardevole, che si perde nelle urla costanti dell’inafferrabile Raya.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.7