Penguin Highway: recensione dell’anime di Hiroyasu Ishida
Un anime dalla vocazione filosofica che, attraverso il suo protagonista, ci dice molto in merito all'adultizzazione coatta e inquietante di tutta la civiltà.
Aoyama è un ragazzino di dieci anni ed è un piccolo Sheldon Cooper nipponico. Dotato di un’intelligenza prodigiosa ed oltremodo diligente, conta i giorni che lo separano dall’età adulta ed è fermamente convinto che diventerà un uomo importante, ogni giorno più colto e informato sui fatti che lo circondano, sempre più capace di decodificarli. La sua visione iper-razionale del reale, il talento per le scienze, il temperamento pignolo e l’indubbia precocità intellettiva lo rendono un eroe sui generis, perfino un po’ seccante: troppo distaccato per essere un bambino e troppo saccente e pieno di sé per per risultare simpatico, vince la palma di enfant prodige meno amabile del mondo dell’animazione per l’infanzia.
Penguin Highway: un racconto animato di formazione con vocazione filosofica
Penguin Highway, l’anime tratto dal libro per ragazzi di Tomihiko Morimi, è un film che, in qualche modo, somiglia al suo protagonista perché, come lui, è freddo e filosofeggiante: più speculativo che emozionale, materializza un’atmosfera ovattata e sospesa, di raggelata ricercatezza formale e bizzarra negoziazione tra impostazione iper-scientifica ed evasione metafisica, quasi sul ciglio della surrealtà allegorizzante.
L’enigmatica comparsa di strani pinguini nella cittadina in cui vive Aoyama solletica, infatti, la curiosità di quest’ultimo e dei suoi compagni di scuola Uchida e Hamamoto, che cercano insieme a lui di dissotterrare l’origine del mistero: è subito chiaro che la presenza di quei pinguini, che appaiono all’improvviso da chissà dove, è legata all’esistenza di una strana sfera e alle condizioni di salute di una giovane donna che Aoyama chiama One-san, termine traducibile in italiano come «sorella grande» (nei sottotitoli tradotto insistentemente, ma in modo un po’ ridicolo, con “sorellona”) che, in realtà, in giapponese è un appellativo abbastanza neutro con cui ci si riferisce alle ragazze dai venti ai trent’anni, non più ragazzine, ma non ancora ‘signore’.
Pinguini e primo amore in Penguin Highway: gli affanni di Aoyama, bambino prodigio
È proprio lei, chioma fluente e corpo sinuoso, inserviente in una clinica dentistica, il primo amore del protagonista, che le scruta i seni con l’ossessione scrupolosa di un entomologo o lo zelo clinico di un anatomista certosino. Anche di fronte ai subbugli ormonali della pre-pubertà, il piccolo protagonista non perde la lucidità dello scienziato gelido e un po’ anaffettivo, rendendo questa storia animata di coming of age del tutto anomala e vagamente creepy, con una sua forza sottilmente perturbante pur nella cornice calligrafica di un idillio cromatico attuato attraverso una palette desaturizzata e uno stile figurativo di rara eleganza e sensibilità per i dettagli minuti e le declinazioni coloristiche meno attese.
Penguin Highway è, così, un film in certa misura respingente, con il quale non è facile entrare in connessione a causa della sua profonda alienità culturale, ma, nel contempo, traduce in codici non immediatamente decifrabili, ma comunque estremamente affascinanti, l’ansietà tutta giapponese per lo spauracchio dell’apocalisse culturale, per la fine del mondo, la percezione di un tempo che accelera e inghiotte. Questo bambino mai stato veramente tale, patologicamente smanioso di crescere, ci dice qualcosa sull’adultizzazione coatta e inquietante di tutta una civiltà che cela, dietro una grazia incantata e ammaliante, tremendi abissi. Con l’obliquità gentile, un po’ ludica ed un po’ elusiva, dei suoi stilemi e delle sue stilizzazioni, il cinema animato giapponese astrae fino a rarefare le paure dei bambini, che sono diventate, spaventosamente, le stesse degli adulti.
Penguin Highway è al cinema martedì 20 novembre 2018, distribuito da Nexo Digital.